Ossa: perché sono così importanti
Le ossa ci sostengono, interagiscono con i muscoli, contribuendo all’ampia gamma di movimenti che il nostro corpo è in grado di compiere. Servono a proteggere gli organi interni dai danni e a immagazzinare i nutrienti essenziali.
Quando subiscono qualche danno, meglio rivolgersi ad un serio specialista delle ossa.
Affrontiamo l’argomento con uno dei migliori ortopedici italiani: il Prof. Gianluca Camillieri (Centro di Ortopedia di UPMC Salvator Mundi International Hospital).
Specialista in Ortopedia e Traumatologia, esperto in chirurgia delle ossa di ginocchio e spalla, traumatologia dello sport e chirurgia protesica, è altresì medico ortopedico di varie federazioni sportive tra cui la Federazione Italiana Nuoto e membro della commissione medica della United World Wrestling.
E’ stato docente di bioingegneria meccanica-malattie apparato locomotore presso l’Università dell’Aquila e docente presso l’Università di Roma “Sapienza”.
Per finire, è autore di numerose pubblicazioni scientifiche.
Ossa: il Prof. Gianluca Camillieri risponde
Quando si soccorre uno sportivo che si è infortunato, magari durante una gara olimpionica, cosa fa la differenza?
E’ il tempismo a fare la differenza. Altro fattore importante è l’esperienza di chi soccorre.
E’ vero che nelle competizioni è tutto abbastanza regolamentato. Durante i mondiali o alle olimpiadi, l’atleta può essere soccorso solo dai medici del servizio di guardia del Comitato Olimpico.
Il medico della Nazionale non può intervenire in alcun modo. La cosa è un po’ diversa con le Federazioni internazionali, ma in alcuni casi (ad esempio nella Federazione Nazionale Lotta) come primo soccorso può intervenire solo il medico incaricato dalla federazione che organizza l’evento.
Quando si deve agire tempestivamente l’adrenalina, serve o è un ostacolo?
L’adrenalina serve sempre. Chi fa questo mestiere e deve intervenire in emergenza, acquisisce una certa freddezza nell’agire. Grazie all’esperienza, viene naturale fare tutti quei processi mentali atti a mettere in sicurezza l’atleta o il paziente.
Ossa e attività chirurgica: le figure professionali
Con quali altri medici collabora sinergicamente un ortopedico e quanto è importante il gioco di squadra?
Innanzitutto collabora con altri ortopedici, perché non si può lavorare da soli. A stabilirlo è la legge italiana, anche se in altri Stati europei è permesso.
Durante l’attività chirurgica, un ortopedico deve necessariamente avere dei collaboratori che lo affiancano.
Poi ci sono altre figure professionali che interagiscono e si integrano perfettamente con l’ortopedico:
- Ci si rivolge ai fisiatri per una serie di trattamenti (quali ad esempio le onde d’urto) o nel caso in cui l’ortopedico non esegua infiltrazioni ecoguidate;
- I medici sportivi a loro volta sono soliti chiedere pareri diagnostici specialistici all’ortopedico;
- Poi ci sono figure “non mediche” ma ugualmente importanti. Mi riferisco ai chiropati, osteopati e fisioterapisti, i quali completano egregiamente il lavoro dell’ortopedico.
Ossa ed errore medico: responsabilità
Intervento ben riuscito/mal riuscito: quali fattori entrano in gioco?
Tecnicamente l’intervento riesce sempre bene, però a distanza di tempo, il risultato potrebbe essere diverso da quello ci si aspetta, malgrado l’esecuzione impeccabile dell’intervento stesso.
Ad entrare in gioco sono altri fattori.
A priori, bisognerebbe chiedersi se l’indicazione a fare o meno l’intervento sia giusta. In secondo luogo, esistono purtroppo alcune complicazioni (come ad esempio infezioni, mobilizzazione dei mezzi di sintesi o protesici) o altri fattori, non sempre ponderabili, che possono compromettere l’esito operatorio.
Infine, anche il decorso post operatorio ha il suo peso. L’ortopedico fornisce delle indicazioni ben precise, però non tutti i pazienti le seguono alla lettera.
Questa negligenza può compromettere l’intervento.
Dovendo azzardare una statistica, direi che il risultato dipende per il 60% dall’esecuzione chirurgica, il restante 40% dal decorso post operativo e riabilitativo.
Da che parte pende l’ago delle responsabilità: medico, paziente, contingenze esterne?
Ovviamente può dipendere da tutti e tre i fattori, ma dal punto di vista legale la responsabilità cade esclusivamente sul medico, anche se ha eseguito un intervento impeccabile.
Non è facile dimostrare che un paziente dopo l’operazione è andato a ballare e si è fatto male…
Ossa: prevenzione, diagnosi e cura
Come si diagnosticano le condizioni di un paziente e si sviluppa un piano di trattamento per un paziente? Quanto è importante monitorare i loro progressi dopo l’intervento chirurgico?
Quando si approccia un paziente, è importante raccogliere quanti più dati possibili sul suo stato di salute. Un’ anamnesi certosina, la sua storia clinica, servono a capire se ci sono delle comorbosità che possono incidere sullo stato di salute e sul problema che viene presentato al momento.
Poi, per arrivare a una corretta diagnosi, occorre effettuare un preciso esame obiettivo e clinico avvalendosi anche dei dati strumentali.
Personalmente, ritengo che non ci si debba fermare soltanto alla sensazione empirica, anche quando clinicamente ci sono segni evidenti di una data patologia. Sempre meglio avere la conferma da parte dell’indagine strumentale.
Questo anche per motivi di ordine medico-legale.
Nel post operatorio, è importante monitorare l’andamento anche dal punto di vista medico-scientifico.
Controllare il paziente e i risultati raggiunti, consente infine di fare esperienza diretta sulle modalità e sulle tempistiche di recupero. Cosa che può aiutare anche altri medici.
Trattamenti: esempi in Italia e all’estero
Come siamo messi in Italia a livello di eccellenze, nomi, strutture e terapie? I nostri medici possono sperare di lavorare bene o devono fuggire all’estero?
Inizio rispondendo alla seconda domanda. Ci sono ottime università. Grazie alla globalizzazione, all’insegnamento delle lingue, alla voglia di viaggiare tipica dei nostri concittadini e, in ultima analisi, grazie a internet, ormai siamo in grado di connetterci con Paesi lontani. Cosa che favorisce non solo gli scambi culturali, ma anche il confronto con le varie eccellenze.
I nostri giovani specialisti viaggiano all’estero, fanno esperienza sul campo e partecipano a congressi internazionali che li arricchiscono tantissimo.
Riguardo alle cure, in realtà non sarebbe necessario andare all’estero, se non per cose particolari.
E’ vero tuttavia che nel nostro Paese mancano infrastrutture nell’ambito pubblico e che queste viaggiano a velocità diverse.
Così come è vero che non c’è uniformità sul territorio (il Nord Italia risulta più all’avanguardia del Sud) anche se la Cardiochirurgia di Catania o il Centro Trapianti di Palermo sono delle punte di diamante.
In generale, il fatto di demandare alle Regioni la gestione della sanità, non ha apportato benefici alla sanità pubblica.
Casi medici: gioie e dolori
Ci può descrivere il caso medico più strano?
Può accadere che un paziente vada dallo specialista per un disturbo e poi venga diagnosticato altro.
Ricordo il caso di una giovane atleta che accusava un rallentamento motorio imputabile ad un lieve problema visivo.
Il disturbo era stato trattato dal punto di vista fisioterapico, ma purtroppo, andando a fondo mi sono reso conto che si trattava di sclerosi multipla. Una scoperta terrible. La giovane pallavolista aveva solo 19 anni . Poi nel lavoro ci sono sempre sfide, casi complicati di ogni genere.
Si cerca di fare interventi ricostruttivi o riparativi su pazienti che vengono abbandonati o liquidati frettolosamente dal nostro sistema sanitario.
Cosa le da più soddisfazione in ambito professionale?
Sicuramente l’aver fatto recuperare la piena capacità motoria a un paziente. Quando ti dicono che hanno ripreso le loro attività quotidiane, a qualsiasi livello, dalla persona umile al grande sportivo, la cosa mi riempie di gioia.
Nuove terapie per il trattamento dei problemi alle ossa
Quanto è importante aggiornarsi sui nuovi trattamenti e sui progressi della chirurgia ortopedica?
Fondamentale! Non si può restare indietro.
Ovviamente questo non vuol dire che bisogna prendere per buona ogni novità o che il nuovo sia miracoloso. Bisogna informarsi, valutare bene, monitorare l’andamento dei trattamenti e poi magari sperimentare, per farsi un’opinione corretta.
Oggi noi medici possiamo accedere a riviste scientifiche, video, tecniche e simulazioni di intervento. Se non ci si aggiorna non si va lontano.
A che punto siamo con i progressi nel campo della traumatologia, sul versante biologico, alludo allo studio dei fattori di crescita, staminali e adipociti, per applicazioni innovative?
Siamo a buon punto. Interventi che fino a ieri potevano essere fatti solo nelle sale operatorie ben organizzate (ad esempio sulle cellule staminali) si possono effettuare anche a livello ambulatoriale.
E’ ovvio che bisogna studiare bene la letteratura scientifica per avere darti certi sull’efficacia di un trattamento (ad esempio da dove vengono gli studi o la significatività statistica).
Arriveremo ad “autoripararci” come le lucertole?
No. Dall’interno, da soli non possiamo farlo.
Il fegato si rigenera molto bene, si può togliere una parte e si riforma.
Gli studi attuali stanno cercando di applicare questo meccanismo di rigenerazione agli altri tessuti.
Far crescere i tessuti in laboratorio è possibile.
Alcuni centri di ricerca riescono a ricostruire le strutture più semplici (ad esempio i legamenti), partendo dalla cellula. In questo caso, si possono impiantare dei legamenti bio che hanno la stessa genetica, lo stesso Dna del paziente, con caratteristiche biomeccaniche migliori del sostituto (tendine del paziente stesso o di un cadavere trapiantato o artificiale).
Importanza della specializzazione e del lato umano
Si può dire che l’ortopedia sia un ramo della medicina dagli interessi multiformi. Quanto è importante la superspecializzazione nell’ambito della traumatologia?
Riguardo alla superspecializzazione, trovo corretto che ci siano centri specifici, ma al tempo stesso reputo che sia una cosa molto riduttiva.
Un bravo chirurgo dovrebbe essere in grado di operare perfettamente un ginocchio, ma anche una spalla. Se è ha delle buone basi e un’ottima tecnica, non vedo perché dovrebbe concentrarsi solo su un settore.
Quando bisogna ricorre alle protesi?
Solo quando non si può ricorrere ad altri tipi di trattamenti bio. Quando è preclusa ogni normale funzionalità del quotidiano, quando la qualità della vita è irrimediabilmente compromessa.
L’aggressione del bisturi sul corpo ha un costo biologico che il medico deve sempre valutare in modo onesto rispetto ai benefici. Quando si deve necessariamente ricorrere alla chirurgia?
Un medico onesto deve sempre valutare i benefici. Solo lui può sapere se è davvero il caso di operare oppure no.
La chirurgia ripara, al massimo ricostruisce, ma non restituisce mai l’integrità. Come affronta la questione con i pazienti? Bisogna essere un po’ psicologi?
Sempre! Da come si presenta, da come entra in stanza, da come muove le mani, un buon medico riesce a capire se il paziente è in grado di sostenere un tipo di percorso o meno. Il fattore psicologico è importantissimo nell’approccio: bisogna capire i limiti nella procedura che si intende somministrare al paziente.