Consenso informato e autodeterminazione del paziente

Il consenso informato è importante perché assicura l’autodeterminazione del paziente. Infatti, partendo dal presupposto che la salute è il bene più importante di qualsiasi essere umano, in caso di malattia, è fondamentale essere informati. L’informazione attiene sia alle reali condizioni di salute, sia ai diversi trattamenti terapeutici, e ai relativi rischi.

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Consenso informato: il dovere di informare il paziente

L’attuale disciplina che regola il consenso informato è sancita dall’art. 1 della Legge 219/2017. Già nel codice di deontologia medica (2014), il ruolo del consenso informato è stato valorizzato, perché posto alla base della libertà del paziente. Infatti, la libera scelta tra diverse opzioni terapetuche è fondamentale. 

Il 22 dicembre del 2017, dopo anni di battaglie politico-sociali e giudiziarie, il legislatore italiano ha finalmente aperto la strada al pieno riconoscimento del fondamentale diritto all’autodeterminazione umana. Tale diritto è rinvenibile in particolar modo negli artt. 2, 13 e 32 c.2 Cost..

La peculiarità della L. n. 219/2017 risiede proprio nel suo essere una norma brevissima. Una norma che però, va a colmare definitivamente quelle molteplici zone grigie che per anni hanno caratterizzato l’antecedente rapporto assistenziale medico-paziente.

La normativa precedente era pressoché inesistente e l’intero ordinamento continuava a statuire sulla materia in esame tenendo in considerazione quasi esclusivamente il codice penale Rocco (in particolar modo gli artt. 579 e 580 c.p.).

In virtù della nostra Costituzione, il legislatore ha preso consapevolezza della necessità ed urgenza di “positivizzare” sia sulla non obbligatorietà dei trattamenti sanitari ex c.2 art. 32 Cost., che sui limiti imposti dal rispetto della persona umana.

Dinanzi ad un dato fattuale simile, ci si è trovati sempre più a dover far fronte a diritti manchevoli di un’esplicita tutela legislativa, di un corrispettivo dovere di controllo ed attuazione, di una norma che andasse a descrivere accuratamente quel duplice rapporto ove al diritto riconosciuto al soggetto richiedente spetta sempre un equivalente dovere da parte non soltanto della persona fisica-medico ma, altresì, dell’intera struttura sanitaria, così come dello Stato-Entità Pubblica.

Il consenso informato e le autonomie personali

Il consenso informato, vero cuore della legge 219/2017, viene descritto dall’impossibilità ad avviare o proseguire un determinato trattamento sanitario senza il consenso libero e informato del paziente.

Questi ha diritto, e non l’obbligo, di accedere alle cure che ha scelto in totale autonomia. I professionisti sanitari hanno il dovere di attuare una determinata cura o trattamento solo e soltanto a seguito della valida acquisizione del consenso da parte dell’interessato. Il malato deve essere messo nella possibilità di poter manifestare tale consenso validamente e liberamente

A tal proposito, risulta fondamentale il c. 2 art. 1, Legge n. 219/2017, il quale specifica le molteplici dinamiche del rapporto creatosi tra medico e paziente. La relazione tra medico e paziente è basata sulla fiducia, sottolineando la necessità di una specifica valorizzazione di tale rapporto fondato sul libero consenso informato.

Le protagoniste principali risultano essere le autonomie personali ed individuali dei soggetti coinvolti. Compito fondamentale del medico sarà quello di procedere immediatamente nel fornire tutte le più complete, ampie, adeguate e comprensibili informazioni riguardo allo stato di salute del paziente. Sia attuale e clinicamente accertato (attraverso la PCC, Pianificazione Condivisa delle Cure), che futuro ed imprevedibile (attraverso le DAT, Disposizioni Anticipate di Trattamento).

Il concreto soddisfacimento della volontà del paziente

In qualsiasi caso, il medico è tenuto a rispettare sempre le volontà del paziente, salvo che queste risultino contrarie alla legge, alla deontologia ed alle buone pratiche clinico-assistenziali. Rifiuto o rinuncia, l’uno caratterizzato dall’azione diretta del paziente che decide di non sottoporsi ad un determinato trattamento, l’altro dall’operare attivo del medico che diviene soggetto agente nel momento in cui, ad esempio, interrompe le NIA (Nutrizione ed Idratazione Artificiale).

Inoltre, la qualificazione della responsabilità del professionista sanitario, rispetto alla legittimità-liceità o meno della sua azione, sarà sempre proporzionata e relazionata al soddisfacimento delle concrete e reali volontà del paziente.

Dignità nella fase finale della vita del paziente

L’articolo 2 della Legge 219/2017 prende in considerazione la Terapia del dolore. Affermando così sia il divieto di ostinazione irragionevole nelle cure che il rispetto della dignità umana nella fase finale della propria vita. Con la novella del 2017 è si è rinviato parzialmente alla precedente L. n. 38 del 2010 che disciplina le cure palliative come livello essenziale di assistenza ai malati terminali o affetti da altre patologie caratterizzate da inevitabile esito infausto.

Vi possono essere più livelli di cure palliative, ognuno dei quali corrispondente ad un determinato servizio sanitario. Difatti, a livello primario, possiamo riscontrare pazienti che, nonostante la malattia cronica e degenerativa, ancora conservano una loro autonomia.

Mentre, al secondo livello vengono inseriti pazienti che hanno perso buona parte di questa loro autonomia ed iniziano a manifestare una certa complessità sintomatica. La complessità del caso rende necessario l’intervento del medico palliativista. Un professionista che andrà ad occuparsi specificatamente delle terapie in correlazione al progredire della malattia, sino all’inevitabile esito infausto.

Nel 2018, l’International Association for Hospice and Palliative Care (IAHPC), ha sostenuto come obiettivo primario di tali cure sia proprio quello di migliorare la qualità di vita delle persone malate e dei loro cari che li assistono.

A fronte di un numero sempre più impressionante di malati terminali, in particolar modo oncologici, che richiedono le cure palliative per far fronte a dolori inimmaginabili, si pone la necessità di adattare e stratificare tale bisogno esistenziale a seconda del concetto di “complessità” pocanzi accennato, una complessità legata inscindibilmente all’urgenza di dare vita a delle linee guida che si differenziano a seconda delle patologie prese singolarmente in considerazione, garantendo altresì livelli assistenziali tali da assicurare a tutti i malati bisognosi di essere curati nel grado e modo più consono ed appropriato.

Dal principio paternalistico a quello personalista

La legge in esame, sull’autodeterminazione del malato e la relazione di cura, venne approvata dal Senato italiano il 14 dicembre 2017.  Tale normativa ha voluto ridisegnare la mappatura delle dinamiche della relazione assistenziale tra medico e paziente. 

Il paradigma ippocratico che da sempre vincola il sanitario, come nel caso della medicina difensiva, sia positiva, che negativa, perdura nell’anacronistico e paternalistico divieto ex art. 5 c.c. (atti di disposizione del proprio corpo) che agli artt. 579 e 580 c.p. (disciplinanti, rispettivamente, il reato di omicidio del consenziente ed il reato di istigazione o aiuto al suicidio).

La vera novità risiede nel completo riconoscimento della supremazia assoluta del diritto alla salute ex art. 32 Cost. e dell’inviolabilità della libertà personale ex art. 13 Cost.. Il paziente viene ora rivalutato e catapultato al di fuori di quella condizione di soggezione e medicalizzazione. Senza tanti giri di parole, il paziente veniva considerato mero oggetto affidato alla sapienza ed alle decisioni imperative del medico ippocratico.

L’approccio adottato dalla Legge n. 219 del 2017 ricalibra la potestà del medico sulla base dell’ormai consolidato principio personalista. Ongaro Basaglia (CFR. “Medicina e medicalizzazione. Salute/malattia. Le parole della medicina”), fa comprendere come salute e malattia siano state per troppo tempo strumentalizzate. Lo scopo era quello di garantire il predominio dell’operato del curante sul curato. Difatti, si costringeva quest’ultimo ad una specie di “dipendenza funzionale alla cura”. Il paziente era soggetto alla volontà altrui, oggetto della medicina ed alla tecnicizzazione del ruolo del professionista medico nei confronti dell’individuo malato, oggetto del suo volere e sapere.

Buona fede e correttezza del professionista medico

Grazie alla Legge del 2017, tutto il contesto relazionale e terapeutico si ritrova oggi a ruotare attorno al concetto di consenso informato, fondamento indispensabile di qualsiasi atto medico. Occorre tener conto del cambio direzionale che ha coinvolto anche il concetto stesso di responsabilità medica. 

A tal proposito non ci si può dispensare dal parlare di quell’elaborazione promotrice della dottrina della “Responsabilità medica da contatto sociale qualificato”. Lo scopo è quello di fornire un’adeguata organizzazione sistemica dei rapporti che non possono essere assimilati ad un negozio giuridico, ma che sorgono sulla base di un’importante relazione interpersonale.

La responsabilità medica è fondata sul reciproco affidamento e sulla fiducia, finalizzata al completamento di un facere che risponda più ad un obbligo di protezione stabilito, cioè un “contatto senza contratto”.

Il fondamento lo si ricollega ai concetti di buona fede e correttezza. Tant’è che gli artt. 1173 e 1175 c.c. stabiliscono, rispettivamente, che “le obbligazioni derivano da contratto, da fatto illecito, o da ogni altro fatto idoneo a produrle in conformità dell’ordinamento giuridico” e che “il debitore e il creditore devono comportarsi secondo le regole della correttezza”. Mentre, l’art. 1375 c.c., parlando di buona fede oggettiva, fa riferimento a criteri indefiniti come la lealtà ed onestà.

Esiste un nesso tra gli articoli 1175 e 1375 del codice civile?

Per definire cosa debba intendersi con regole di correttezza ci si affida agli stessi principi identificativi della buona fede oggettiva. Resta sempre quella situazione di stallo interpretativo ove spetterà al giudice quantificare, il contenuto specifico della lealtà ed onestà richieste e sottoposte alla sua attenzione. Nello specifico della relazione di cura esistente tra medico e paziente, tale dovere di correttezza e buona fede andrà a fondersi, con il principio costituzionale di solidarietà sociale ex art. 2 Cost..

Ad oggi non si prevede più soltanto un contenuto prettamente negativo del ruolo del professionista sanitario, consistente in un “obbligo di non facere”, ma quello di un facere impostato sull’adeguatezza delle scelte da prendere.

Il paziente tenterà di instaurare un rapporto che va ben oltre la medicalizzazione del caso. Si stabilisce così un contatto umano, garante dell’adempimento di quell’obbligo di protezione che conduce all’accostamento della disciplina del contatto sociale qualificato a quella del classico negozio giuridico disciplinato dal codice civile.

La qualificazione del contatto sociale condurrà il medico inottemperante ad essere responsabile per inadempimento ex art. 1218 c.c.. Allo stesso modo, si creerà una situazione ove è “come se” ad impegnare il curante nei confronti del curato ci fosse una vera e propria obbligazione, fonte di responsabilità non più extracontrattuale (ex art. 2043 c.c.), bensì’ contrattuale.

Consenso informato: violazione e risarcimento danni

Sulla base di quanto evidenziato, è evidente che sussiste il diritto al risarcimento del danno, nel caso di violazione del diritto alla scelta terapetica fondata sul consenso informato. Infatti, già nella giurisprudenza e poi Legge Gelli-Bianco (L. n. 24/2017), è stato ribadito questo principio. 

Pur nel principio di responsabilità medica, sulla base della netta separazione e distinzione tra responsabilità della struttura sanitaria e quella del singolo specialista, questo diritto permane. Il fondamento giuridico della responsabilità è quello della responsabilità contrattuale. Però, non si esclude anche la responsabilità extracontrattuale.

Infatti,  in un contesto di responsabilità civile, il complesso ospedaliero risponderà ex art. 1218 c.c. per i danni che un cittadino subisce a causa della violazione di questi obblighi. Sia la struttura che il singolo sanitario ha l’obbigo di informare adeguadamente il paziente. In caso contrario, potranno essere invocati sia i principi di responsabilità contrattuale che extracontrattuale. Il principio generale della responsabilità aquiliana sussiste sempre e comunque ai sensi dell’art. 2043 c.c..

La Legge Gelli-Bianco ribadisce che il medico della struttura ospedaliera non ha un contratto vero e proprio con il paziente. Tuttavia, sussiste pur sempre un obbligo di risarcimento anche a voler superare il principio della responsabilità da contatto, sussiste sempre e comunque. Infatti, l’obbligo di risarcimento si basa comunque sulla violazione del dovere  di neminem laedere.

Quindi, il sanitario responsabile dovrà comunque rispondere in solido dei danni ex art. 2055 c.c. anche a titolo di responsabilità extracontrattuale, che si cumula a quella contrattuale nel caso della struttura sanitaria. 

Consenso informato e la peculiarità della Legge 219/2017

La legge n. 219 del 2017, occupandosi degli specifici e doverosi incarichi in ambito medico-sanitario e di relazione terapeutica, consacra l’obbligatorietà – fonte di responsabilità – della conferma di un valido consenso basato su di un previo dovere di adeguata, completa e comprensibile informazione. Il problema della distinzione e individuazione della responsabilità medica, consente di comprendere le varie sfumature e ramificazioni.

Sotto il profilo più squisitamente processuale, la procedura è quella della Consulenza Tecnica Preventiva (CTP) – affidata ad uno specifico CTU – o per mezzo di una mediazione – con necessari intervento e partecipazione di un avvocato.

Quindi con CTP si otterrà l’accertamento dell’ ‘an’ e del ‘quantum’ della responsabilità medica. La perizia giudiziale è uno strumento importante che poi potrà essere invocato con il rito ordinario, ovvero con il rito sommario. 

Infatti, essendo stata già raggiunta la prova fondamentale, si potrà agire con il processo sommario ex art. 702 bis e ss. c.p.c., ferma la quantificazione dei danni morali ed esistenziali. Poi vi sono tutti i profili legati all’impresa assicuratrice.

Responsabilità medica per violazione del consenso informato e litisconsorzio

In caso di azione di responsabilità del paziente per violazione del consenso informato, la compagnia assicuratrice risponde. Infatti, ogni singolo sanitario e la struttura sanitaria rispondono dei danni in solido. A loro volta, sono assicurati e lo debbono essere per legge.

Quindi, il paziente sarà sempre e comunque coperto, e con le assicurazioni sarà esaltato il ruolo della mediazione e della conciliazione. In sostanza, dai profili disciplinari sono venuti alla luce i profili di tutela civilistico e risarcitoria ora codificati per legge. 

Tutela legale per violazione dell’obbligo di consenso informato

La libertà del paziente è molto importante. Questi intanto deve essere informato delle sue reali condizioni di salute. In questo modo, il paziente può esercitare le sue scelte. In alcuni casi con condizione di salute precarie, determinarsi per il periodo successivo alla morte. Inoltre, la specifica informazione sulle reali condizioni di salute e dei diversi trattamenti, permette di scegliere. In alcuni casi, il paziente potrebbe decidere di evitare il c.d. accanimento terapeutico. Si pensi, ad esempio, a casi di tumore invasivo ed esteso, che potrebbe essere trattato chirurgicamente, oppure farmacologicamente.

Specialmente per quanto riguarda questi casi specifici, è molto importante ricevere l’esatta informazione. Nel passato, specialmente in caso di mesotelioma, sono state eseguite operazioni chirurgiche inutili e dannose. Nel migliore dei casi, le operazioni chirurgiche non hanno allungato e nè migliorato la vita del paziente. In altri casi, come illustrato dal Prof. Marcello Migliore nel corso della 16 puntata di ONA TV, invece, l’operazione chirurgica è risultata decisiva, anche per il mesotelioma pleurico.

Quindi, essere informati è fondamentale, sia sulle chance di buona riuscita, che sulle complicazioni. Per cui, l’assenza di informazione tempestiva, e quindi di consenso, che sia reale e concreto, implica la responsabilità e l’obbligo di risarcimento.

Per questi motivi, l’Osservatorio Nazionale Amianto ha costituito una particolare sezione di tutela dei pazienti. Tutti i cittadini possono rivolgersi all’ONA, per ottenere un parere medico gratuito.

Quindi, con la consulenza medica gratuita è possibile, per il paziente, essere meglio informato, e per chi ha subito la violazione di questo diritto, di ottenere il risarcimento del danno. L’ONA, attraverso l’impegno dell’Avv. Ezio Bonanni, può assicurare una tutela più ampia dei pazienti. Quindi, il paziente, può rivolgersi all’ONA per ottenere anche il parere legale gratuito.

Dott.ssa Arabella Baioni

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