L’importanza della prevenzione e il nuovo trattamento per il diabete
Come dimostrato dagli esperti della Società Italiana di Endocrinologia e Diabetologia pediatrica la diagnosi precoce del diabete di tipo 1 riduce del 94% il rischio di complicanze dovute alla malattia. Gli esperti hanno messo a confronto l’incidenza della chetoacidosi nella popolazione pediatrica con e senza screening sulla base di due studi: il primo allo scopo di valutare la frequenza di chetoacidosi nei bambini in cui la malattia viene scoperta alla comparsa dei sintomi, il secondo ha analizzato la frequenza della chetoacidosi nei bambini sottoposti a screening.
Che cos’è la chetoacidosi diabetica e come si cura
La chetoacidosi diabetica è una complicanza del diabete mellito di tipo 1 che provoca, inizialmente, un’eccessiva sete e diuresi, perdita di peso, nausea, vomito, affaticamento e dolore addominale. La respirazione aumenta e l’organismo tenta di correggere l’acidità nel sangue. Se non curata la chetoacidosi diabetica peggiora e può portare gravi complicanze, fino alla morte, soprattutto nei bambini. La chetoacidosi si manifesta quando non c’è l’ormone insulina o non ce n’è abbastanza e, di conseguenza, i tessuti non riescono a utilizzare lo zucchero semplice come riserva di energia.
L’ormone insulina è quello che permette alle cellule di captare lo zucchero e utilizzarlo come energia per tutte le funzioni corporee e, in assenza di questo, il glucosio non riesce a entrare nelle cellule e non può essere utilizzato. A questo punto le cellule utilizzano gli acidi grassi per adattarsi in qualche modo a questa situazione e bruciando gli acidi grassi si formano sostanze di scarto che si accumulano nel sangue: i corpi chetonici. Questi sono difficili da eliminare e tendono ad acidificare il sangue. Il trattamento della chetoacidosi diabetica prevede la reintegrazione di liquidi per via endovenosa e insulina.
I risultati dello screening
Secondo i risultati dello studio la scoperta della malattia in Italia avviene spesso con la comparsa dei sintomi, la frequenza di chetoacidosi arriva al 41,2% nei bimbi più piccoli, con un secondo picco intorno ai 10-12 anni. Confrontando i risultati con quelli ottenuti dal progetto tedesco di screening Fr1da, nei bimbi risultati positivi al test è emersa un’incidenza molto più bassa di chetoacidosi, pari al 2,5%, con una riduzione del 94% del rischio rispetto al nostro studio.
Questi dati evidenziano l’importanza della legge 130/2023 che ha istituito in Italia un programma nazionale di screening pediatrico. Grazie a test su scala nazionale, oltre 450 bimbi ogni anno potranno evitare la terribile complicanza. In tutto il mondo sono 8,4 milioni le persone con diabete di tipo 1, con mezzo milione di nuovi casi diagnosticati in età infantile. Scoprire per tempo la malattia permette anche di intervenire con nuove terapie come Teplizumab, il primo farmaco capace di ritardare la comparsa dei sintomi del diabete di tipo 1.
Il Teplizumab
Approvato negli Stati Uniti dalla FDA, nel novembre 2022, il trattamento con Teplizumab, anticorpo monoclonale che si somministra per via endovenosa, è ora disponibile in Italia per uso compassionevole a partire dai bambini di età pari o superiore a 8 anni con diabete di tipo 1.
Teplizumab è un anticorpo monoclonale in grado di ritardare l’ingresso dei bambini nello stadio più severo del diabete di tipo 1. Il diabete di tipo 1 si sviluppa il tre stadi: quasi tutti i pazienti allo stadio 2 passano al terzo entro 1-5 anni. Lo stadio 3 è il più insidioso con l’entrata nella routine dei numerosi controlli glicemici e delle iniezioni di insulina.
“Possono beneficiarne i soggetti con più di 8 anni di età con predisposizione al diabete tipo 1, nei quali lo screening abbia evidenziato due o più autoanticorpi e che abbiano una condizione di disglicemia”, sottolinea il presidente Sid Angelo Avogaro. “Per questo è necessario un programma di screening che individui i soggetti con diabete di tipo 1 allo stadio 2”.
Negli studi clinici il trattamento ha dimostrato di ritardare l’esordio della malattia tra 25 e 32,5 mesi. “Si tratta di un vantaggio importante che offre mesi e anni liberi dalla malattia, la possibilità di pianificare e organizzare la vita e, perché no, prendere tempo rispetto a trattamenti che potrebbero curarla” ha affermato Raffaella Buzzetti, presidente eletto della Società italiana diabetologia (Sid).
L’importanza di limitare lo zucchero nei primi due anni di vita
Secondo uno studio pubblicato sulla rivista Science ridurre l’assunzione di zuccheri anche in fase di gravidanza e fino a 2 anni di vita del bambino può diminuire il rischio di malattie croniche in età adulta.
Tadeja Gracner della University of Southern California/RAND Corporation ha messo a confronto i dati di un decennale razionamento di zuccheri e dolciumi reso necessario per la Seconda Guerra Mondiale in cui i fondi disponibili si utilizzavano per investire in materiale bellico. Durante il razionamento, la quantità di zucchero consentita era paragonabile a quella raccomandata dalle attuali linee guida dietetiche e la fine di questo periodo portò al raddoppiamento del consumo di zucchero.
I dati medici dello UK Biobank contengono informazioni precise sullo stato di salute di chi era esposto al razionamento dello zucchero sia in utero che nei primi anni di vita. Secondo il team la diminuzione dello zucchero aveva ridotto il rischio di diabete e ipertensione di circa il 35% e 20 % rispetto alla media.