Alzheimer: nuovo studio per bloccare il processo degenerativo

Le ultime ricerche sull’Alzheimer e tutto ciò che c’è da sapere su questa terribile patologia

Secondo i dati l’Alzheimer affigge, negli ultimi anni, gli under 65. Intervista al Professor Michele Mazzanti dell’Università di Milano

La proteina antimicrobica che ci protegge dalle infezioni denominata peptide LL-37 sarebbe responsabile dell’attivazione del meccanismo che fa progredire la malattia dell’Alzheimer. Questa scoperta italo-cinese è stata pubblicata su Molecular Psychiatry, rivista del gruppo Nature.

Già i ricercatori dell’Università di Milano, coordinati da Michele Mazzanti, professore di Fisiologia al dipartimento di Bioscienze, avevano effettuato alcuni studi riguardanti questa patologia. Grazie a questi è stato dimostrato che la proteina denominata Chloride intracellular channel 1 (CLIC1) nei processi neurodegenerativi modifica la sua localizzazione, passando dal citoplasma (tutta la porzione di cellula contenuta all’interno della cellula) alla membrana cellulare contribuendo, così all’aggravamento della malattia. Il meccanismo cellulare di questo cambiamento era fino a questa nuova ricerca sconosciuto. I ricercatori hanno scoperto che a innescare lo spostamento e l’integrazione della proteina CLIC1 è il peptide antimicrobico LL-37.

LL-37 attivando la proteina CLIC1, cioè indirizzandola verso la membrana, causa iperattività microgliale (cioè attivazione del sistema nervoso del cervello),neuro infiammazione (cioè la risposta del sistema nervoso centrale agli attacchi esterni) ed eccitotossicità (fenomeno che porta alla morte dei neuroni).

Ma in che modo agisce la proteina peptide LL-37 sull’attività cognitiva?

Grazie alla nuova scoperta i ricercatori hanno accertato che la proteina peptide LL-37 provoca fenotipi patologici significativi legati all’Alzheimer tra cui l’aumento della β-amiloide, la formazione di grovigli neurofibrillari (placche), morte neuronale, atrofia cerebrale, l’allargamento dei ventricoli cerebrali e la compromissione della plasticità sinaptica, ossia la capacità del sistema nervoso di modificare l’intensità delle relazioni interneuronali, di instaurarne di nuove e di eliminarne alcune.

Il professor Mazzanti ci spiega:”La proteina CLIC1, una volta inserita nella membrana cellulare, ha una fondamentale funzione nell’attivazione delle cellule immunitarie, che avviene durante i fenomeni di infiammazione cronica, ed in particolare quelli che interessano il sistema nervoso centrale, come nel caso della malattia di Alzheimer – sottolinea Mazzanti -. Il peptide LL-37, favorendo la migrazione della proteina CLIC1 in membrana, può essere considerato un promotore del processo neurodegenerativo. Impedire a questa proteina di svolgere la sua funzione o inibire direttamente la proteina CLIC1 localizzata nella membrana, potrebbe essere una strategia farmacologica per rallentare o addirittura bloccare la progressione del processo neurodegenerativo”.

Alzheimer cos’è e quali sono i primi sintomi

La demenza di Alzheimer ha un inizio subdolo: i primi sintomi sono quasi inevidenti come il dimenticare alcune cose ma, con il passare del tempo, la malattia si aggrava fino al punto in cui il soggetto non riesce a riconoscere neanche i familiari.

La patologia prende il nome da Alois Alzheimer, neurologo tedesco che per la prima volta nel 1907 ne descrisse i sintomi e gli aspetti neuropatologici.

È la forma più comune di demenza senile, uno stato provocato da un’alterazione delle funzioni cerebrali che comporta grave disagio per chi ne è affetto nel condurre anche le normali attività quotidiane. La malattia colpisce la memoria e le funzioni cognitive, si ripercuote sulla capacità di parlare e di pensare ma può causare problemi di diverso tipo. Come stati di confusione, cambiamenti di umore e disorientamento spazio-temporale.

Nei pazienti affetti da demenza di Alzheimer si osserva una perdita di cellule nervose nelle aree cerebrali vitali per la memoria e per altre funzioni cognitive. Si riscontra, inoltre, un basso livello di quelle sostanze chimiche, come l’acetilcolina, che lavorano come neurotrasmettitori e sono quindi coinvolte nella comunicazione tra le cellule nervose.

Anche se il decorso della malattia è lento sarebbe opportuno avere una diagnosi precoce nel tentativo di rallentare il processo di acutizzazione che porta a gravi danni celebrali fino alla morte.

Quando bisogna allarmarsi

I primi sintomi sono: gravi perdite di memoria, porre più volte le stesse domande, perdersi in luoghi familiari, incapacità di seguire delle indicazioni precise. Inoltre avere disorientamenti sul tempo, sulle persone e sui luoghi, ma anche trascurare la propria sicurezza personale, l’igiene e la nutrizione.

I disturbi cognitivi possono, tuttavia, essere presenti anche anni prima che venga formulata una diagnosi di demenza di Alzheimer.

Diagnosi: quali esami effettuare per diagnosticare l’Alzheimer

1)esami clinici ospedalizzanti del liquido spinale

2)test neuropsicologici per misurare la memoria, la capacità di risolvere problemi, il grado di attenzione, la capacità di contare e di dialogare

3)Risonanza magnetica del cervello per identificare ogni possibile segno di anormalità

Questi esami permettono al medico di escludere altre possibili cause che portano a sintomi analoghi come problemi di tiroide, reazioni avverse a farmaci, depressione, tumori cerebrali, ma anche malattie dei vasi sanguigni cerebrali.

Ne parleremo con il professor Michele Mazzanti

Professor Michele Mazzanti

1)Professore cosa pensa di questa nuova scoperta italo-cinese?

Penso che sia un tassello in più nel ricostruire quali sono le cause dei processi neurodegenerativi”.

2)Può parlarmi meglio del vostro studio riguardante la terapia per l’Alzheimer?

La nostra non è una terapia. La nostra ricerca ha evidenziato un meccanismo cellulare che sembrerebbe coinvolto nel portare le cellule del sistema immunitario del cervello a colpire anche i propri neuroni in una specie di processo autoimmune”.

3)Rispetto ad altre cure che rallentano il processo neurodegenerativo dell’Alzheimer, quali sono le differenze?

Ripeto, il nostro studio non si occupa di diagnosi o terapie. Comunque, fino ad oggi non ci sono dati che consentono di definire alcuna terapia efficace”.

4)I dati dimostrano che l’Alzheimer in questi ultimi anni colpisce anche persone under 65 anni. Secondo lei a cosa è dovuto questo fattore?

Ci sono due tipi di Alzheimer. Uno “genetico” che ha un esordio tra i 45 e i 55 anni. Ce n’è poi uno definito “sporadico” che riguarda il 95 % circa di tutti i casi di Alzheimer le cui cause sono ancora poco note. Si pensa a diversi fattori come l’inquinamento ambientale, la dieta e lo stile di vita in generale. Ad esempio, probabilmente l’abuso di alcool e tabacco penso non aiutino a mantenere integro il nostro cervello”.

5)Cosa pensa del caso del giovane Marty Reisweig di soli 43 anni affetto da Alzheimer precoce?

Non conosco questo caso. A giudicare dall’età è sicuramente un caso genetico”.

6)È vero che l’Alzheimer è una malattia genetica?

“Alcune forme lo sono. Altre (la grande maggioranza) non se ne conosce la causa”.

7)Cosa si può fare per prevenire e per controllare la predisposizione a tale malattia?

“Al momento attuale l’unica forma di diagnosi in qualche modo predittiva è l’analisi del liquido spinale”.

8)È vero che l’alimentazione ha un ruolo importante in persone predisposte?

“In tutte le persone è molto probabile che l’alimentazione, come in tante altre malattie, possa giocare un ruolo nei processi neurodegenerativi”.

9)Si può affermare che l’Alzheimer non è ancora, purtroppo una patologia curabile?

“L’Alzheimer è al momento incurabile”.

I dati sulle persone affette da Alzheimer secondo il Ministero della salute

In Italia, il numero totale dei pazienti con demenza è stimato in oltre un milione (di cui circa 600.000 con demenza di Alzheimer). Circa tre milioni sono le persone direttamente o indirettamente coinvolte nella loro assistenza, con conseguenze anche sul piano economico e organizzativo. Il fenomeno è in aumento per l’invecchiamento della popolazione. Secondo le proiezioni demografiche, riportate dal sito del Ministero della salute nel 2051 ci saranno 280 anziani ogni 100 giovani. Anche con aumento di tutte le malattie croniche legate all’età, e tra queste le demenze.

Autore: Ilaria Cicconi