SSN in crisi: due milioni di persone non si curano per motivi economici

“Non possiamo fare a meno del servizio sanitario pubblico” l’appello degli scienziati. L’età è un fattore discriminante, per questo nasce la Carta di Firenze

Secondo i dati dell’Istat più di 1,9 milioni di persone hanno rinunciato a prestazioni sanitarie per ragioni economiche e 4,2 milioni di famiglie, in particolare al Sud, hanno limitato le spese per la salute. Come emerge dai rapporti, nel 2022 la spesa sanitaria sostenuta direttamente dalle famiglie italiane, la cosiddetta ‘out of pocket’, ammonta a quasi 37 miliardi di euro.
Oltre 25,2 milioni di famiglie in media hanno speso per la salute 1.362 euro, oltre 64 euro in più rispetto al 2021 che salgono a 100 euro per il Centro sud. “lo status di povertà assoluta che coinvolge oggi più di due milioni di famiglie richiede urgenti politiche di contrasto alla povertà- dice Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione Gimbe – non solo per garantire un tenore di vita dignitoso a tutte le persone, ma anche perché le diseguaglianze sociali nell’accesso alle cure e l’impossibilità di far fronte ai bisogni di salute con risorse proprie rischiano di compromettere la salute e la vita dei più poveri, in particolare nel Mezzogiorno”.

L’appello di Giorgio Parisi e degli scienziati

Già da tempo, in particolare dopo la pandemia, gli esperti di tutti i livelli avevano denunciato la crisi della sanità pubblica e oggi i dati dimostrano che la situazione non fa che peggiorare. La mancanza di fondi, di personale sanitario e le lunghe liste d’attesa costringono i malati a curarsi privatamente o, nel peggiore dei casi, a rinunciare. Quattordici personalità di spicco della comunità scientifica hanno lanciato l’allarme: dal premio Nobel per la fisica Giorgio Parisi al farmacologo Silvio Garattini, dal presidente del Consiglio superiore di sanità Franco Locatelli all’immunologo Alberto Mantovani. Quello che chiedono al Governo è di intervenire con un piano straordinario di finanziamento, considerato che i fondi previsti per il 2025, in proporzione al Pil nazionale, sono inferiori a quelli di vent’anni fa.

I dati

Dal 1978, anno della sua fondazione, il Servizio sanitario nazionale ha contribuito in Italia al più marcato incremento dell’aspettativa di vita (da 73,8 a 83,6 anni) tra i Paesi ad alto reddito, spiegano gli esperti nel loro appello. I dati confermano le accuse: “nel 2025 sarà destinato alla sanità pubblica il 6,2% del Pil, meno di quanto (6,5%) accadeva 20 anni fa”, precisano i firmatari, tra i quali compaiono anche esperti di economia e politica sanitaria come Francesco Longo dell’Università Bocconi e l’ex direttrice generale del ministero della Sanità Nerina Dirindin. In queste condizioni, aggiungono, “la spesa sanitaria non è grado di assicurare compiutamente il rispetto dei Livelli Essenziali di Assistenza”.

Come invertire la rotta

Secondo Garattini è possibile intervenire ma la priorità del governo deve essere “l’adeguamento del finanziamento del SSN agli standard dei Paesi europei avanzati, pari all’8% del Pil”. Bisogna, inoltre, cercare di bilanciare gli squilibri territoriali attraverso specifiche risorse e valorizzare gli operatori sanitari, tutelarli e garantirgli condizioni di lavoro sostenibili. Inoltre, va affrontato il tema “non più procrastinabile” della continuità assistenziale tra ospedale, territorio e domicilio, come il tema della prevenzione, la cui spesa “è da sempre al di sotto di quanto programmato”.

L’ageismo sanitario

Purtroppo, secondo i dati dei registri nazionali, fino al 40% degli over 85 con problemi di cuore è sotto- trattato. I pregiudizi basati sull’età influiscono sulla scelta del personale sanitario e addirittura su quella dei pazienti escludendo 4 anziani su 10 dalle cure migliori considerandoli “troppo vecchi e costosi”.
Questo ricade sulla salute psico-fisica degli over 65, aumentando il rischio di diabete, malattie cardiache, ictus e depressione e facendo crescere fino a 4 volte il pericolo di mortalità. È stato dimostrato da uno studio pubblicato su The Gerontologist dai ricercatori del New Jersey Institute for Successful Aging che la probabilità di morire entro 9 anni è del 45% negli anziani che hanno un’autopercezione negativa dell’invecchiamento rispetto al rischio del 10% in chi non ha stereotipi negativi.
L’ultimo rapporto sull’ageismo stilato da OMS e ONU a marzo 2021 sottolinea la necessità di leggi e politiche che affrontino questo problema. Bisogna inserire attività educative che riducano i pregiudizi anche perché, secondo l’OMS, entro il 2050 una persona su cinque nel mondo sarà over-60.

La Carta di Firenze

Per queste motivazioni nasce la Carta di Firenze, il primo manifesto contro l’ageismo sanitario pubblicata sull’European Geriatric Medicine e sul The Journal of Gerontology. La Carta di Firenze, coordinata da Andrea Ungar, ordinario di Geriatria all’Università di Firenze, presidente del congresso e della Società Italiana di Gerontologia e Geriatria, e da Luigi Ferrucci, direttore scientifico del National Institute on Aging di Baltimora, è stata messa a punto da un panel internazionale di esperti. Punta su 12 azioni concrete per ridurre al minimo l’impatto negativo dell’ageismo nell’assistenza sanitaria e migliorare la qualità di vita degli anziani, riducendo i costi legati alle loro patologie.
“In base ai pregiudizi e agli stereotipi legati all’età si ritengono gli anziani già ‘titolari di una quantità di vita sufficiente’, ormai gravosi per il sistema sociale ed economico”, dichiara Ungar. “Quasi un effetto collaterale del successo medico che ha cronicizzato le malattie, determinando un incremento della coesistenza di più patologie nello stesso individuo. È aumentato così il numero di anziani da assistere e, con esso, la forma più diffusa di ageismo, cioè la discriminazione degli anziani nell’ambito sanitario”.

Autore: Ilaria Cicconi