Nuova terapia per il Parkinson

Anche a Brotzu (Cagliari), dopo Milano, è stato trattato il primo paziente affetto da Parkinson con la nuova cura

È stato trattato un paziente affetto da Parkinson con il farmaco Levodopa per iniezione sottocutanea nella struttura di Neurologia e Stroke Unit dell’Arnas Brotzu, diretta da Giovanni Cossu. Per la prima volta in questo ospedale è stato utilizzato il Levodopa per infusione sottocutanea introdotto in commercio recentemente ma la cui disponibilità non è ancora garantita in tutto il territorio nazionale.

A febbraio 2024, presso il Centro Parkinson e Parkinsonismi dell’ASST Gaetano Pini-CTO di Milano, è iniziato il trattamento del primo paziente.  L’infusione sottocutanea consente una somministrazione continua della Levodopa e garantisce un controllo stabile dei sintomi. Questa cura è indicata per la malattia di Parkinson in fase avanzata con gravi fluttuazioni motorie poco controllabili con la terapia farmacologica tradizionale. 
I pazienti candidabili devono essere accuratamente selezionati da centri esperti perché non tutti i sintomi possono essere responsivi.

«L’Arnas Brotzu, grazie all’impegno della direzione aziendale e del servizio farmacia, è stato uno dei primi ospedali ad introdurre questa nuova via di somministrazione che presenta un potenziale vantaggio nel trattamento della fase intermedia-avanzata della malattia di Parkinson – commenta Cossu – può garantire una gestione stabile dei sintomi che, a causa di problematiche gastroenterologiche proprie della malattia o di patologie associate, non sono controllabili con le terapie convenzionali».

L’auspicio è che la nuova strategia terapeutica possa migliorare la qualità di vita di pazienti con malattia di Parkinson. «Gli effetti iniziali sono promettenti anche se, per dati definitivi di efficacia, sarà necessario attendere un periodo di osservazione più lungo», sottolinea la manager Agnese Foddis. 

Parkinson e disturbi gastrointestinali

Secondo uno studio pubblicato sulla rivista Gut i problemi intestinali potrebbero essere un segnale precoce di Parkinson in alcune persone. Dato che il Parkinson è progressivo e il disturbo cerebrale peggiora nel tempo, individuare la malattia ancora prima che compaiano i sintomi neurologici potrebbe fare una grande differenza.
I medici hanno analizzato i dati di 24.624 persone con Parkinson, confrontandoli con quelli di persone affette da Alzheimer, emorragie cerebrali o coaguli e cervelli sani. Le risposte ottenute indicano che le persone con problemi intestinali hanno una probabilità maggiore di sviluppare il Parkinson.

Ovviamente, non tutti quelli che presentano disturbi gastrointestinali svilupperanno il Parkinson, ma sembra esserci una qualche connessione tra la salute dell’intestino e del cervello. Gli esperti ritengono che il tratto gastrointestinale abbia milioni di cellule nervose che comunicano con il cervello.

Clare Bale, dell’Associazione Parkinson’s UK, ha affermato che i risultati “aggiungono ulteriore peso” all’ipotesi che i problemi intestinali potrebbero essere un segno precoce della malattia. Il professor Kim Barrett, dell’Università della California, sostiene che siano necessari ulteriori studi per capire se il collegamento potrebbe essere utilizzato dai medici per aiutare i pazienti.

Cos’è la malattia di Parkinson

La malattia di Parkinson è una malattia neurodegenerativa (la più frequente dopo l’Alzheimer) che si manifesta con resistenza ai movimenti passivi, tremore durante il riposo e bradicinesia che provoca difficoltà a iniziare e terminare i movimenti. È provocata dalla degenerazione dei neuroni dopaminergici (cellule del cervello) e le cause non sono del tutto note. Da un punto di vista biochimico sono state accertate, a livello della Snpc di soggetti parkinsoniani, una riduzione della quantità di dopamina, una minore concentrazione di neuromelanina (quindi una minore pigmentazione della Snpc), una riduzione dell’attività del complesso della catena respiratoria mitocondriale e una minore attività dell’alfa-chetoglutarato deidrogenasi.

Tuttavia, negli ultimi anni si è compreso, grazie agli studi, che è una patologia multifattoriale e sia la predisposizione genetica sia i fattori ambientali hanno un ruolo importante nell’insorgenza della malattia.

Altri possibili fattori di rischio possono essere alcune patologie infettive (come l’encefalite), lesioni cerebrali (in particolare traumi accompagnati da emorragia), neurotossine endogene e addirittura l’esposizione ad alcune tossine come i pesticidi, i metalli, gli insetticidi e i prodotti chimici industriali.

Quali sono i sintomi

La malattia può manifestarsi anche 10 anni prima della diagnosi con sintomi prodromici, quali: 

-perdita dell’olfatto;

-depressione;

-costipazione;

-disturbo del comportamento del sonno REM (RBD, caratterizzato da sogni vividi e movimenti e/o vocalizzazioni durante il sonno).

In questa fase, è possibile che si presentino anche i sintomi motori tipici dell’esordio della malattia. Nel suo inizio caratteristico, i sintomi della patologia possono essere presenti in diverse combinazioni, principalmente:

-bradicinesia (lentezza nel movimento, difficoltà nei movimenti fini come, per esempio, abbottonare la camicia oppure svolgere piccoli lavori manuali);

-tremore;

-rigidità muscolare;

-alterazioni posturali.

Inoltre, possono presentarsi anche:

-alterazioni della scrittura (‘micrografia’, rimpicciolimento della scrittura);

-riduzione dell’espressività del volto;

-disturbi del cammino, dell’equilibrio, della parola e della deglutizione;

-sintomi ‘non-motori’ (disturbi psichiatrici, cognitivi, gastrointestinali, urinari, vegetativi)

Come viene diagnosticata

Per la diagnosi del Parkinson è necessario osservare i sintomi iniziali e dal punto di vista radiologico sono utilizzate alcune tecniche di neuroimaging come la risonanza magnetica e la tomografia computerizzata. Alcune tecniche di imaging specifiche per il sistema dopaminergico possono aiutare i neurologi nella diagnosi.

Trattamento

Non si conosce una cura per la malattia di Parkinson; tuttavia, esistono diversi trattamenti che possono controllarne i sintomi. Un buon trattamento prevede l’intervento sul paziente di diversi specialisti, tra cui neurologi, infermieri specializzati, fisioterapisti e logopedisti. Ciascun paziente ha una diversa combinazione di sintomi e la terapia farmacologia è calibrata sui bisogni individuali dei malati. Il primo obiettivo del trattamento è ripristinare i livelli di dopamina e ristabilire le normali funzioni dei circuiti cerebrali. Farmaci come il Levodopa sono efficaci nell’alleviare i sintomi motori; tuttavia, con il progredire del quadro, possono comparire sintomi resistenti ai farmaci, come l’instabilità posturale e il deterioramento cognitivo, e il trattamento medico può risultare più complesso.

Autore: Ilaria Cicconi