Intervista al professor Rosario Di Sauro psicologo clinico e psicoterapeuta, già direttore della Scuola di Specializzazione in Psicoterapia Psicodinamica di Latina e responsabile scientifico del Centro psicopedagogico: Doposcuola Crescere a colori di Terracina
Il transfert, detto anche translazione, è una proiezione delle rappresentazioni consce e inconsce che il paziente trasferisce sull’analista. L’argomento, discusso da tanti specialisti, è molto delicato perché il paziente, inizialmente, non si rende conto che i sentimenti d’amore o di rabbia o addirittura repulsione che proietta sul terapeuta non sono altro che i suoi vissuti riproposti nella relazione terapeutica. Questo, ovviamente, crea al soggetto un forte disagio per varie motivazioni. Si ritrova scoperto a rivivere le esperienze più dolorose della sua vita in una relazione asimmetrica (quella terapeutica) e può creare forti scompensi e situazioni difficili da gestire per l’analista. La bravura del terapeuta sta proprio nel “maneggiare con cura queste fragilità” portando il paziente alla comprensione di questi vissuti e alla consapevolezza. Ma spesso, i vissuti transferali sono così violenti (dal punto di vista amoroso, sessuale o rabbioso) da essere un vero e proprio ostacolo per la terapia stessa e, per molti terapeuti, tanto da interrompere la terapia. Eppure, il transfert rappresenta un punto cardine nella psicoterapia e nell’osservazione dei sintomi, anche attraverso il controtransfert, per la svolta e il cambiamento del soggetto sofferente. In quel momento il paziente è fragile e richiede attenzioni in un modo o nell’altro e solo l’esperienza, la fermezza e la capacità di gestione dell’analista di queste dinamiche pregresse così preziose, possono portare finalmente alla luce tutto ciò che si celava nel buio dell’anima. Lasciando così cadere la maschera il paziente si sentirà completamente nudo, una nudità che andrà accolta e accettata dal soggetto perché spogliandosi di alcune difese, si metterà completamente nelle mani nell’analista con fiducia, la stessa fiducia che da bambino riponeva nei suoi genitori. E la gestione o il fallimento di questo fenomeno segnerà in positivo o in negativo il suo percorso terapeutico.
Considerazioni sul transfert
“Poiché la translazione riproduce la relazione con i genitori, è chiaro che ne assume anche l’ambivalenza. È quasi inevitabile che l’atteggiamento positivo verso l’analista si converta prima o poi, repentinamente, in un atteggiamento negativo e ostile. Anche questo rappresenta di norma una ripetizione del passato. L’arrendevolezza verso il padre (se si trattava di padre), il tentativo di accattivarsi il suo favore, era radicato in un desiderio erotico a lui diretto. Prima o poi questa pretesa si manifesterà prepotentemente anche nella translazione reclamando soddisfazione. Nella situazione analitica, però, essa dovrà essere immancabilmente frustrata”. Freud 1938
“A differenza di Freud M. Klein ritiene che attraverso il transfert si manifestino le relazioni oggettuali dei primissimi anni di vita che il paziente non può ricordare e non tanto le componenti edipiche. “Il paziente, infatti, è portato inevitabilmente a far fronte ai conflitti e alle angosce che rivive nei confronti dell’analista avvalendosi degli stessi sistemi usati nel lontano passato. Ciò vuol dire che egli cerca di distaccarsi dai suoi oggetti originari” Klein 1952
Jung, invece, ritiene che il transfert possa essere un’espressione di tendenze psichiche e non necessariamente di natura sessuale che riporti a rapporti edipici: “Non è affatto vero che siano proiettati esclusivamente contenuti erotici o esperiente infantili. Ogni cosa può essere proiettata e, il transfert erotico è soltanto una fra le molte”.
Ne parleremo con il professor Rosario di Sauro, psicologo clinico psicoterapeuta
Professore cosa si intende per transfert? Ho notato, parlando con vari specialisti nel settore, che per alcuni psicologi il transfert è un ostacolo alla terapia, come sosteneva Freud nel caso di Dora, ma nello stesso tempo può essere anche un mezzo per comprendere le rimozioni del paziente. Lei come la pensa?
“Prima di tutto bisogna fare una precisazione: la psicoanalisi di Freud non è la psicoanalisi attuale. Che Freud abbia scoperto alcuni dinamismi è stato di fondamentale importanza, ma noi oggi non parliamo più all’interno del mondo psicoanalitico di transfert soltanto ma della relazione transfert – controtransfert. Questo da quando Paula Heimann negli anni Quaranta ha compreso che i vissuti del terapeuta o analista sono importanti per comprendere la modalità del transfert del paziente. Ai tempi di Freud per transfert si intendeva una riedizione o un’edizione nuova di sentimenti che il paziente trasferiva sulla figura dell’analista sia a livello positivo (detto transfert erotico) sia negativo (detto transfert aggressivo).
Oggi non viene più letto così ma come una comunicazione. Ecco perché l’utilizzo del controtransfert è fondamentale per la comprensione dei disagi del paziente e del perché si parla di relazione transfert /controtransfert che è inscindibile, non si possono scindere perché l’una è legata all’altra.
C’è sempre un controtransfert perché, lo stesso, è una comunicazione che l’analista mette in atto attraverso degli enactment, che sono però positivi per il proseguo della terapia. Per esempio, il fatto che l’analista avverta determinati vissuti può dare un segnale di quello che sta pensando a livello inconscio il paziente e, su questa base, si può interpretare il transfert che generalmente viene letto come comunicazione. La paziente, ad esempio, che esprime avances di tipo erotico al terapeuta, molto spesso nasconde maltrattamenti psicologici o fisici e spesso anche abusi sessuali.
Quindi professore invece di tirarsi indietro, le persone che sono state abusate sessualmente fanno delle avances al terapeuta. Come mai?
“Le motivazioni possono essere varie, una sicuramente è quella di testare l’onestà, la professionalità e la capacità di comprensione dell’analista; un’altra potrebbe rappresentare a livello translativo la necessità di essere amati, e così via”.
Sembra che vogliano verificare se il terapeuta possa farle del male come è successo nel loro passato?
“Esatto, questo è un primo elemento. Non c’è soltanto questo perché il sesso, anche da un punto di vista neuroscientifico (come dice Panksepp che purtroppo è morto da un paio d’anni e che è stato uno dei più grandi neuroscienziati) che i sistemi motivazionali della sessualità, dell’attaccamento e della fame, hanno un’unica matrice psicogenetica. Quindi, evidentemente, nel sesso e nel corpo il paziente o la paziente abusato/a rivive l’enfasi della ricerca affettiva perché spesso una bambina=o che è maltrattata o abusata cerca le cure del caregiver che è stato abusante nei suoi riguardi. Paradossalmente questo succede perché la necessità di amore è importante per ognuno di noi. Quindi, come vede, la situazione non si evidenzia soltanto nel transfert ma si colloca e in una dimensione relazionale transfert/controtransfert. Tutto ciò nel mondo psicoanalitico, dopo Paula Heinmann è cambiato a livello tecnico e clinico, ma molte persone, anche colleghi, continuano a parlare di psicoanalisi ancorata a Sigmund Freud”.
Può succedere che il transfert diventi un ostacolo per la cura e il terapeuta sia costretto a interrompere la terapia?
“Si a volte succede che in certi casi di transfert erotico il terapeuta è costretto a interrompere la relazione perché diventa una difesa della terapia.
Accade solo perché, a mio modo di vedere, probabilmente non sono state analizzate alcune questioni in precedenza e si entra in quello che Gabbard chiama “la china scivolosa della relazione terapeutica” che individua nel mal d’amore e, quindi, nel narcisismo dell’analista, questo tipo di problematiche.
Difatti così ci si ritrova in una violazione del setting.
Le violazioni del setting non sono solo quelle sessuali ma possono essere di vario genere, ad esempio, un’eccessiva disponibilità del terapeuta alle richieste del paziente, almeno a mio modo di pensare. Nell’ambito psicodinamico, al di là della stretta di mano, non ci può essere nessun altro tipo di contatto tra paziente e terapeuta anche se il paziente in un momento di difficoltà può esprimere il suo desiderio di essere tenuto per mano o abbracciato perché magari sta piangendo o è emersa una sofferenza. A quel punto, sempre a mio modesto parere, bisognerebbe sostituire quell’abbraccio fisico con un abbraccio mentale. Quindi la formazione del terapeuta deve essere molto completa”.
Fondamentale
“Le faccio un esempio .Oggi nel mondo psicologico e delle specializzazioni in psicoterapia, ci sono molte scuole (circa 300) e anche tanti indirizzi diversi.
Ma chi obbliga gli allievi a fare una psicoterapia personale è solo il mondo psicodinamico. Ci sono altre scuole e, di conseguenza altri indirizzi, che consigliano di fare delle esperienze personali, ma onestamente sono poco incisive in tale richiesta. A mio modo di vedere questa condizione dovrebbe essere obbligatoria. Tutti dovrebbero fare una terapia personale”.
Infatti, pensavo fosse obbligatoria per l’analista
“Nel campo analitico sicuro. È una parte della formazione”.
Anche perché, se un analista non conosce bene se stesso potrebbe riversare sul paziente i propri vissuti giusto?
“Assolutamente sì, ecco perché è fondamentale comprendere il controtransfert. Il terapeuta, attraverso la sua analisi personale, può non aver elaborato tutti i suoi conflitti. È naturale.
La supervisione, l’esperienza e il confronto con altri colleghi vanno a diminuire questo tipo di errore. Però è possibile che accadano degli enactment in virtù dell’esperienza soggettiva anche del terapeuta”.
Mi chiedo se questo tipo di dinamiche (transfert e controtransfert) possano portare problematiche fisiche e psicosomatiche ad un paziente nei vissuti mandati direttamente dall’analista stesso, che non fanno parte del percorso personale del soggetto
“Sì, è un errore che può succedere ed è grave perché il terapeuta dovrebbe essere in grado di gestire o, meglio, decodificare le comunicazioni.
Anche perché a livello della pragmatica della comunicazione umana un messaggio contiene sempre altri messaggi, quindi qualsiasi cosa che il paziente esprime, sta sottintendendo altre situazioni.
Il pregio del terapeuta formato e competente è quello di comprendere queste cose che generalmente nella comunicazione umana sono inconsce perché noi comunichiamo più a livello non verbale che a livello verbale. Io posso dire delle cose e a livello non verbale comunicare esattamente il contrario.
Quello che rende ragione della veridicità del discorso è la comunicazione non verbale, non quella verbale. Per esempio, posso dire ad una persona “ti voglio tanto bene “ma usando una certa espressione mimica, e l’altro può rispondere: “mi stai prendendo in giro” perché sto disconfermando quello che ho detto come testo verbale.
L’analista deve lavorare su due fronti, due linee: una della comunicazione non verbale e inconscia e l’altra sulla decodifica di queste comunicazioni perché, se questi aspetti non sono elaborati è normale, come diceva lei prima, che possono sfociare in alcune situazioni o somatizzazioni o altre problematiche. Capita molto spesso che pazienti cambiano terapeuta e dicano “ho già fatto una terapia 20 anni fa” ad esempio ma se le problematiche non sono elaborate, ritornano.
Questo può succedere se il terapeuta, di qualsiasi orientamento, non è preparato. Quello della preparazione del terapeuta è un grosso problema”.
In effetti professore, mi chiedo come mai la psicoterapia non sia obbligatoria per tutti i terapeuti
“Adesso anche Psicologia è un corso di studi abilitante alla professione. Non c’è più l’esame di stato come c’era prima e poi, dopo l’esame di stato, o anche contemporaneamente gli allievi potevano accedere alla specializzazione che dura quattro anni per qualsiasi psicoterapeuta, psicologo o medico. Alla fine, c’è la presentazione di una tesi e la scuola si assume la responsabilità della formazione di quel soggetto.
A mio modo di vedere la formazione in Italia non è molto forte rispetto alla pratica psicoterapica (bisogna distinguere la pratica psicoterapica dalla pratica psicologica, cioè, essere laureato in psicologia non abilita alla psicoterapia, bisogna fare quattro anni di specializzazione in una scuola riconosciuta dal MIUR).
Quasi tutte le scuole sono private ma devono essere riconosciute dal MIUR.
Il regolamento del MIUR e anche degli iter formativi, sostiene che l’allievo può iniziare la psicoterapia all’inizio del terzo anno ma solo ed esclusivamente sotto la supervisione di un didatta della scuola. L’allievo che è iscritto all’inizio del terzo anno può fare psicoterapia ai pazienti, però deve essere supervisionato da un didatta della scuola e non da un docente esterno perché la scuola si assume la responsabilità della formazione e di quanto avviene durante la seduta (dopo la seduta ma ci sono alcune tecniche, per esempio, i sistemici relazionali che utilizzano lo specchio unidirezionale, loro sono presenti nella supervisione, i pazienti lo sanno e il supervisore interagisce nell’ambito sistemico relazionale con il terapeuta).
In ambito psicodinamico il terapeuta va dal supervisore, porta il materiale clinico che aiuta il terapeuta a capire gli errori che ha fatto. Anche e forse soprattutto gli aspetti legati alla relazione transfert controtransfert”.
Quindi professore, lei ritiene che il transfert e il controtransfert siano elementi fondamentali per la terapia?
“Assolutamente sì, perché è un processo a due comunicazioni. Cioè, tutti noi tendiamo a ripetere (qui Freud aveva ragione nella sua coazione a ripetere intendendo questo costrutto che ancora oggi vale, cioè, quello che non è elaborato ritorna) quel tipo di errore. Ad esempio, perché una persona sceglie sempre un partner sbagliato? Perché vuol dire che alla base non sono state elaborate determinate condizioni, quindi attraverso la coazione a ripetere l’individuo ripete gli stessi errori”.
Parleremo ancora di transfert e controtransfert con il professor Rosario Di Sauro nel prossimo articolo