Miti leggende e incapacità d’intendere e di volere. Ne parleremo con il dottor Lorenzo Maria Contini, Psichiatra, docente e Dottorando in Neuroscienze
Secondo l’ultimo rapporto del Servizio Analisi Criminale della Polizia dal 1° gennaio al 20 ottobre 2024 sono stati registrati 249 omicidi volontari, con 89 vittime donne di cui 77 uccise in ambito familiare e, di queste, 48 hanno trovato la morte per mano del partner, ex partner. I dati relativi a questi omicidi vengono raccolti e aggiornati periodicamente e confrontati con le informazioni dei presidi territoriali della Polizia di Stato e dei Carabinieri per ricostruire gli eventi e lo svolgimento di un delitto.
Purtroppo, basta accendere la tv o leggere le notizie per rendersi conto che la violenza pervade il nostro mondo, i delitti sono sempre più efferati e spesso l’aggressività si cela dietro l’ultimo dei sospetti: l’uomo impeccabile, il bravo ragazzo, il figlio che amava i genitori. Compagni che uccidono le loro donne come fossero oggetti e per cui, spesso, i media raccontano di pene minime, non commisurate al delitto, oppure del rincorso, tramite perizia psichiatrica, alla diminuzione perché sedicenti incapaci di intendere e di volere. Racconti di soggetti condannati solo agli arresti domiciliari o a pochi anni di condanna: e spesso accade che appena scontata la pena delinquano di nuovo. Sembrano cose lontane da noi, mentre la cruda realtà è che nella maggior parte dei casi coloro che uccidono non lo fanno perché affetti da una patologia, ma agiscono intenzionalmente e con violenza.
La nozione d’imputabilità a livello legale
“Nessuno può essere punito per un fatto preveduto dalla legge come reato, se, al momento in cui lo ha commesso, non era imputabile (1).
È imputabile chi ha la capacità d’intendere e di volere (2).
Note
(1) L’imputabilità è il presupposto minimo di maturità del soggetto cui può essere mosso un rimprovero per il fatto commesso, solamente in quanto sia in possesso di quel tanto di maturità mentale, cioè di capacità d’intendere e di volere, da poter discernere il lecito dall’illecito. Dalla circostanza che tale rimprovero può essere mosso solo ad una persona che è in grado di autodeterminarsi, discende che l’imputabilità è a sua volta anche presupposto necessario, nonché elemento essenziale della rimproverabilità.
(2) L’espressione “capacità di intendere e di volere” indica che l’imputabilità comprende entrambe le attitudini, ovvero sia quella di intendere sia quella di volere, di conseguenza un soggetto può dirsi non imputabile quando mancano entrambe o anche quando, pur essendo presente l’una, manchi l’altra e viceversa.
Imputabilità diminuita
Gli articoli n 88 al n 89 del Codice penale stabiliscono i casi in cui l’imputabilità è esclusa o diminuita
-Minore età
-Infermità di mente
-Il sordomutismo dalla nascita
Lo stigma sociale sui soggetti affetti da patologie psichiatriche
Nella mentalità comune molti sostengono che soggetti violenti e che commettono omicidi siano persone instabili mentalmente ma, in verità non c’è una vera e propria correlazione tra omicidi e patologie psichiatriche. Ne parleremo con il dottor Lorenzo Maria Contini psichiatra, psicoterapeuta, autore di numerose perizie presso il Tribunale di Latina e altri tribunali nazionali, docente a contratto al corso di Psicopatologia e dottorando in Neuroscienze.
Dottore mi parli della correlazione tra la violenza e le patologie psichiatriche
«La cosa più importante da capire è che, se escludiamo quelle situazioni in cui ci sono di mezzo le sostanze stupefacenti, la violenza non è una cosa tipica dei pazienti psichiatrici: le persone affette da disturbi psichiatrici a volte agiscono con aggressività, è vero, ma solo in un determinato contesto. Non c’è nella patologia psichiatrica un motivo per cui il paziente dovrebbe essere intrinsecamente aggressivo: l’azione violenta, quando c’è, si inserisce coerentemente tra i comportamenti derivati dalla patologia. Ad esempio un paziente psichiatrico in una fase di malattia instabile potrebbe convincersi di essere perseguitato da qualcuno, o di avere un fondamentale ruolo nell’esistenza del mondo, per cui l’azione violenta gli appare in qualche modo giustificata».
Se prendiamo un esempio classico come quello del marito che uccide la moglie tanti rincorrono, a livello legale, “all’incapacità di intendere e di volere”
«Nella mia esperienza quei reati che potremmo definire “finalizzati”, come il paziente che organizza una rapina oppure un ipotetico uomo che, affetto da depressione che dopo essere stato lasciato va sotto casa della ex-compagna e la picchia, difficilmente hanno una valutazione di incapacità di intendere e di volere. Può succedere, in una larghissima minoranza dei casi, ma una delle cose che bisogna valutare è il grado di programmazione e il grado di ragionamento che c’è dietro ad un reato».
Quindi se è premeditato
«Più che premeditato, che comunque ha certo un peso, se è finalizzato a ottenere uno scopo, e questo ci fa capire che, salvo eccezioni, c’era probabilmente una reale volontà dietro a quel reato. Le parole del nostro Codice penale “incapacità di intendere e di volere” non sono messe a caso. La capacità di intendere è, semplificando, quella di rendersi conto di qual è la situazione, di elaborarla, di comprenderla cognitivamente, di capire il valore delle proprie azioni e le loro conseguenze. E poi c’è la capacità di volere, cioè una compiuta capacità di organizzare la propria volontà in funzione dei propri scopi e obiettivi. È evidente che un uomo che va a picchiare l’ex fidanzata, incrociata il giorno prima per strada con un altro uomo, abbia una finalità di vendetta o comunque di fare del male. Se poi sia un paziente psichiatrico, c’entra poco: potrebbe essere un uomo affetto da depressione, disturbo bipolare o anche schizofrenia, ma poco importa in una situazione del genere, c’entra poco con la sua malattia».
Spesso persone che soffrono di disturbi psichiatrici e compiono atti violenti vengono considerate incapaci di intendere e di volere
«Esattamente quello che volevo dire. Purtroppo, in molto casi, si pensa che ci sia una sorta di automatismo tra l’essere affetto da una patologia psichiatrica e l’essere considerato del tutto o in parte “incapace di intendere e di volere”. In realtà, in tutti gli adulti questa capacità si presume che ci sia, indipendentemente dal fatto che abbiano o meno una patologia: si presume la capacità di intendere e volere in tutti gli adulti ed eventualmente bisogna dimostrare è che una persona non fosse in grado di capire cosa stesse facendo in quel momento specifico in cui ha fatto un illecito. E qui, dobbiamo tener conto che le patologie psichiatriche sono tante e di tipologie diverse: un disturbo borderline è molto diverso da un disturbo bipolare che è molto diverso da una depressione bipolare che, a sua volta, è molto diverso dalla schizofrenia.
Non tutti questi disturbi hanno il potenziale di alterare il nostro modo di pensare, elaborare e comprendere il mondo allo stesso modo. Una depressione ha un basso potenziale intrinseco di fare questa cosa, perlomeno per le finalità della responsabilità penale, nel senso che è un disturbo che altera l’umore e, di conseguenza, può certo alterare anche il modo in cui vediamo il mondo, ma questa alterazione sarà coerente con lo stato depressivo: è quel vedere “tutto nero” in sostanza, il “black dog” di cui parlava Churchill, per cui nel suo esempio un pensiero depressivo potrebbe essere “io non troverò mai più un’altra persona”, ma difficilmente sarà “la vado ad ammazzare”, perché un carico di irritabilità, forza di volontà ed aggressività molto più intense di quelle di una comune depressione».
E i soggetti altalenanti affetti da disturbo bipolare sono violenti?
«No, nel senso che non lo sono a causa della patologia, più della popolazione generale. L’aggressività può essere comune nei disturbi di personalità come il disturbo borderline che, in alcuni casi, ha alcune caratteristiche di disregolazione delle emozioni con una esplosività impulsiva molto più carica di quelli che sono i disturbi dell’umore. Ma nel caso di un paziente con disturbo bipolare, come dice lei, è più facile che lasci il compagno o la compagna nel corso ad esempio di una fase di eccitamento maniacale, piuttosto che abbia comportamenti aggressivi. Togliamoci lo stigma di pensare che i pazienti siano pericolosi perché pazienti: le patologie psichiatriche in cui ci può essere una correlazione tra l’assetto della malattia e il comportamento aggressivo sono i disturbi di personalità o i disturbi fortemente sporcati dall’abuso di sostanze, ma in generale i pazienti psichiatrici sono pericolosi esattamente come chiunque altro».
L’abuso di sostanze amplifica l’aspetto della patologia?
«Alcune sostanze alterano fortemente l’aspetto di una patologia. L’alcol è uno dei fattori scatenanti tipici di queste situazioni. Lei si immagini un soggetto che abbia una patologia che gli provochi un’instabilità dell’umore e una disregolazione affettiva, su cui magari si instaura un disturbo da uso di alcol prolungato, cronicizzato nel tempo. Una delle conseguenze più tipiche del consumo cronico di alcool, da manuale di psichiatria, psicologia o medicina interna, è il delirio di gelosia che in certi trattati si chiama Sindrome di Otello. È classicamente associato all’alcol tanto che, quando lo vediamo in un pronto soccorso, nella maggior parte dei casi troviamo poi un’intossicazione alcolica o un’astinenza in un soggetto consumatore cronico di alcol. Ecco lei si immagini un soggetto, con un’intemperanza comportamentale tipica di un disturbo borderline di personalità (quindi forte esplosività, una certa modalità dialettica che spesso diventa aggressività verbale), e capisce come l’alcool possa fare esplodere una situazione del genere.
E poi bisogna ricordarsi che in molti casi la violenza è anche interattiva: molte coppie sono esplosive perché è la relazione ad essere disfunzionale, ed entrambi i soggetti hanno delle problematiche, un’espressività della rabbia e dell’aggressività accentuata, una grande conflittualità, certe volte veri e propri disturbi di personalità. Queste situazioni possono ancora più facilmente diventare esplosive, con entrambe le parti che possono assumere il ruolo di vittima, di carnefice o a volte di salvatore, salvo poi reiterare questo ciclo. Chiaramente è un discorso molto complesso, che stiamo cercando di sintetizzare. Poi è chiaro che, quando andiamo a parlare di violenza, soprattutto quella fisica, nella stragrande maggioranza la direzione è dall’uomo verso la donna, perlomeno nelle sue più drammatiche manifestazioni.
E per quanto riguarda altri tipi di violenza?
Se, invece, parliamo di altri tipi di violenza diversi, in tutto il mondo vediamo che lo sbilanciamento, pure presente, è meno marcato (aggressioni verbali, stalking). Questo io credo sia legato a un fatto oggettivo, che la violenza fisica ha un’intrinseca componente fisica, e per motivi anche solo biologici, pensiamo alla forza fisica ma anche all’assetto neurofunzionale, è più probabile che vada dall’uomo alla donna. Poi ci sono aspetti sociali, ambientali ma se solo ci limitassimo all’evidenza della forza muscolare è più facile che un uomo aggredisca una donna. Ma andiamo a guardare altre forme di violenza, quella economica per esempio, è vero che ancora oggi l’indipendenza economica della donna è meno comune, ma ci sono molti casi in cui le parti si invertono. O pensiamo ai molti casi di affidamento conflittuale dei figli.
Poi io penso, ma questo è un pensiero tutto mio, che questo sia un argomento molto serio e lo dobbiamo affrontare con altrettanta serietà ed onestà intellettuale, senza andare dietro ai proclami o ai paroloni. Non dobbiamo mischiare tutti i piani e tutti i concetti di violenza, anche perché non ogni cosa può essere considerabile come violenza allo stesso modo e non possiamo equiparale a forme di sopruso.
Ma parlare di violenza e patriarcato sia quando trattiamo di un uomo che picchia la sua compagna sia quando parliamo di una separazione conflittuale, rende un cattivo servizio alla lotta alla violenza di genere: non credo che in tutte le forme di violenza tra un uomo e una donna sia il genere, il motivo della violenza. Ad esempio non credo che se la separazione avviene tra coppie dello stesso sesso, cambi molto in termini di conflittualità. Ma quella conflittualità affonda le basi in un’altra distanza, non in quella tra generi».
Chi subisce veramente violenza difficilmente ne parla
«Questo è forse più un tema di sociologia che di psichiatria, ma proverò a rispondere. È assolutamente vero quello che dice, le vittime parlano poco e denunciano poco: perché lo stigma è ancora tanto, la vergogna è tanta ed anche la confusione è tanta. Io non contesto ovviamente il parlare del tema perché è fondamentale tenere alta l’attenzione. Ma la società adesso è, solo a parole, ipergarantista: si parla allo stesso modo di fenomeni molto diversi, ci sono canali social invasi da opinionisti che commentano ogni frase ed evento facendo riferimento al patriarcato, e questo finirà per far prendere il tema meno seriamente. Probabilmente succederà anche a questo articolo. Tutti si scandalizzano, a parole, di tutto, ma le cose veramente serie non vengono affrontate: si fa solo confusione, ed intanto io non ho la sensazione che le cose vadano migliorando».