Il Professor Gianluca Bellocchi ci racconterà la sua esperienza e l’importanza delle missioni all’estero
“Difendere i diritti degli altri è il fine più alto e nobile di un essere umano”. Khalil Gibran
Sono molti i medici che ogni anno decidono di partire in missione all’estero per aiutare coloro che, purtroppo, non hanno la possibilità di curarsi.
In alcune zone la povertà estrema porta alla morte tantissime persone. Ma non solo. È causa di malasanità. Mancanza di igiene e, di conseguenza, malattie infettive. Il personale sanitario è ridotto e inesperto. Non ha i mezzi necessari per operare. In alcuni Paesi si muore per interventi che qui sono di routine.
«Dal 2017 stiamo seguendo, con un gruppo di otorinolaringoiatri italiani, un progetto di implementazione di attività specialistica (otorinolaringoiatrica) in un ospedale della Tanzania occidentale che esiste dagli anni ’60 (ospedale della Chiesa Missione italiana dei padri della Consolata). – Mi racconta il professor Gianluca Bellocchi primario del reparto Otorinolaringoiatria dell’Ospedale San Camillo di Roma– È situato nella zona occidentale, sopra gli altopiani, a 2000 metri di altezza ed è molto importante per loro perché, essendo un ospedale che esiste da molto, è a un buon livello per quello che è lo standard della Tanzania. Sia dal punto di vista dell’attività chirurgica sia medica, internistica e ostetrica.
Ora che l’ospedale si è rafforzato hanno chiesto a noi e ad altri specialisti di provare a implementare in modo graduale le chirurgie specialistiche (otorinolaringoiatria, oculistica, oncologia). E in futuro anche la chirurgia ginecologica oncologica che ancora non è particolarmente sviluppata».
Uno dei tanti casi di malasanità dovuti alla povertà
«Un caso particolare che ci capitò la prima volta che andammo in Tanzania fu quello di bambino di dieci anni che, aveva avuto in passato una cisti congenita.
Sono cisti da residui embrionali. Malformazioni benigne, dovute al cattivo sviluppo embrionale e con il tempo, diventano sempre più grosse.
Qui in Italia si operano subito appena le si vede crescere. Hanno contenuto liquido. Il piccolo era stato operato. Gli avevano fatto un taglio per far uscire il liquido e si era sgonfiata la cisti ma, non essendo stata tolta adeguatamente la parete, si era riformata.
Nessuno la sapeva trattare in modo adeguato perché era molto piccolo e questa cisti continuava a crescere. Quando arrivò in ambulatorio il bambino aveva la testa piegata sulla spalla, riusciva a malapena a respirare. Non mangiava quasi niente data l’enorme difficoltà e la posizione in cui era la testa. Non riusciva più a parlare».
Così Bellocchi e la sua equipe programmarono l’intervento. Il piccolo venne operato l’indomani, stava andando in insufficienza respiratoria. Era un intervento complesso perché si doveva intubare e aveva la testa piegata. In quell’ospedale non avevano neanche gli strumenti adeguati a questo tipo di anestesia.
Bellocchi e l’equipe avevano portato le cannule tracheostomiche, per i bambini che hanno una trachea piccola.
Sono riusciti ad operarlo, anche se, come mi racconta, l’intervento è stato lungo e difficile, proprio perché era stato fatto precedentemente un altro intervento.
«Dopo 10 giorni. Il bambino è andato a casa scherzando e mangiando. Sappiamo che è stato bene e che ha continuato a crescere senza avere problemi.
Lì ci sono delle situazioni che noi qui non vediamo da 50 anni. E, purtroppo, sono all’ordine del giorno.
Per esempio, ci sono pazienti che si presentano con delle tiroidi enormi perché lì non vengono diagnosticate le insufficienze tiroidee.
Queste tiroidi crescono e si vedono dei gozzi che qui non vediamo dagli anni 50.
È un mondo in cui, purtroppo, si vedono delle patologie da povertà».
L’importanza di estendere la legge a livello nazionale
Anche se non si può cambiare il mondo da un giorno all’altro, se la sanità estendesse questa legislazione valida per la Regione Lazio e per altre regioni a tutta Italia, ci sarebbero più medici disposti a partire per le missioni. Per aiutare coloro che non hanno i mezzi e le competenze a migliorare. Per salvare, quanto più possibile, vite. È questo quello a cui bisogna puntare. La vita è una cosa sacra. Ci sono persone che muoiono in questo modo terribile.
Ci sono alcune regioni in cui le spese sanitarie sono coperte. L’ospedale è religioso e accreditato dalle autorità sanitarie della Tanzania. I medici si iscrivono anche all’Ordine dei Medici della Tanzania (in questo caso) pagando una quota annuale e presentando i documenti. In questo modo sono abilitati formalmente a svolgere la loro attività all’estero e partire per le missioni.
Per quanto riguarda la parte di spese, dato che è un’attività volontaria, vengono ospitati nell’ospedale. Il viaggio è a carico dei medici. Ma almeno la Regione Lazio, analogamente a poche regioni italiane, ha una legislazione che prevede un’aspettativa retribuita per la cooperazione nei Paesi in via di sviluppo per la parte sanitaria di 30 giorni l’anno.
Questo significa che se medici e infermieri, per esempio, del Piemonte decidono di partire per varie missioni, devono prendersi dei giorni di ferie. E sottraendo giorni alla famiglia e ai loro bisogni. Invece, nel Lazio i medici vanno in aspettativa retribuita, cioè come se lavorassero qui. Questo consente agli specialisti di partire con serenità senza utilizzare le ferie e, al tempo stesso, consente a questi paesi di evolvere.
La situazione in Tanzania oggi
In queste zone non c’è un servizio sanitario nazionale. In Tanzania c’è una sorta di assicurazione sociale da un paio di anni. Per ora copre solo circa il 20% della popolazione, altrimenti devono pagare per le prestazioni essendo un’organizzazione no profit dei Missionari della Consolata che sono in giro in tutto il mondo e missione anche lì.
Si cerca di venire incontro al massimo della popolazione. Ma è chiaro che l’ospedale deve sostenersi e pagare i suoi dipendenti. Quindi è molto difficile.
“Bisogna essere essenziali a dare indicazioni- continua il professore- fare diagnosi al minor costo possibile. E cercare di aiutare le persone che hanno più bisogno.
E questa è una bella sfida.
Purtroppo, ci sono persone che dicono io non ho i soldi per farmi fare un’ecografia.
Oppure devo consultare la famiglia per sapere se posso ricoverarmi per fare questo intervento. La parola d’ordine è essenzialità. Capire se questa persona deve essere operata o può farne a meno.
Questo genera in noi una grande sofferenza”.
Com’è composta l’equipe per le missioni all’estero
L’equipe, racconta Bellocchi, di solito è composta da due chirurghi senior con un’esperienza differenziata. Ad esempio, un esperto di chirurgia oncologica cervice facciale (che è una delle più richieste laggiù) e un altro in chirurgia endoscopica (anche questa molto richiesta). Altri due chirurghi junior (di solito sono a specializzandi o medici molto motivati).
Infine, ci sono un’infermiera strumentista e un anestesista che ha già fatto formazione a diversi medici laggiù. Lì non esiste il medico anestesista ma dei nurse infermieri anestesisti (è una figura che in Italia non c’è ma è presente in alcuni Stati come la Francia). È un infermiere altamente specializzato in anestesia e rianimazione e si occupa proprio di gestire completamente l’anestesia (intubazione, mantenimento, risveglio e quant’altro).
L’equipe parte e resta per due settimane di lavoro intensissimo.
L’importanza delle missioni e la formazione dei medici
“Il mondo del volontariato sanitario è molto sviluppato, più di quanto si possa immaginare, solo che quando si fanno queste cose non si sbandierano ai quattro venti. Non cerca di notorietà ma di fare il più possibile. Fregiarsi di questo è deleterio e poco elegante.
Noi vediamo delle cose terribili, consideri che la Tanzania è un paese povero ma non stremato come il Burkina Faso o altri Paesi in cui si soffre la fame. Lì c’è una povertà enorme ma il problema di denutrizione non c’è. Qui c’era questo progetto interessante di evoluzione e non solo di assistenza sanitaria. Per questo abbiamo deciso di dedicarci”.
Quando i medici si recano sul posto, mi racconta, viene sparsa la voce e arrivano tantissimi pazienti per essere visti. Purtroppo, a volte, devono partire senza riuscire a visitarli e operarli tutti. Il loro obiettivo è quello di dare più continuità e presenza possibile.
“C’è un enorme desiderio di partecipare alle missioni sia da parte delle persone esperte sia dei giovani, i quali tornano da questa esperienza trasfigurati perché nel percorso formativo del giovane specialista inserire momenti di questo tipo davvero aiuta a prendere le misure nella propria professione.
E anche a rendersi conto che ci sono situazioni di grandissimo disagio e sofferenza in giro per il mondo. Quando si va sul posto e tocca con mano posso assicurarle che avviene un cambiamento interiore”.
Quello che si può fare è iniziare proprio a estendere la legge per sostenere i medici che partono in missione. E, con il tempo e la costanza, le cose potranno veramente cambiare.