Dissociazione: vivere due realtà contraddittorie

Parleremo dei disturbi dissociativi con il dottor Giuseppe Miti, psichiatra psicoterapeuta

A volte il dolore è così violento e intrusivo da diventare insopportabile. Una sofferenza che non si riesce ad affrontare, un trauma così forte da temere di guardarlo e affrontarlo. Si finisce in un vortice senza via d’uscita così la mente si avvale di un meccanismo di difesa: la dissociazione per fuggire dal dolore estremo e dalla percezione d’impotenza che di regola lo accompagna.

Il termine dissociazione indica una separazione della coscienza di contenuti mentali. È un disturbo che crea disconnessione, scissione nell’individuo. E la sua mente si fonde e si confonde in un turbine di emozioni che sono l’una l’opposto dell’altra. Ci sono vari tipi di dissociazione. Alcuni soggetti si svegliano con una convinzione che portano avanti per un giorno, o per un periodo per poi ritornare a pensare l’opposto di quanto affermavano precedentemente. E questo dolore li porta a scappare da tutto ciò che spaventa e che, secondo loro, può essere un pericolo per il proprio mondo interno.

Cos’è la dissociazione (I disturbi dissociativi della coscienza  R. B White, R M. Gilliland, Astrolabio)

La dissociazione è il processo involontario attraverso il quale le funzioni mentali di una persona si scindono o dividono così da consentire l’espressione di impulsi proibiti solitamente inconsci, senza che essa avverta nessuna responsabilità per le proprie azioni- sia perché in seguito non ricorda quanto ha fatto sia perché non lo sperimenta come proprio allorché lo compie. Tale comportamento è diverso e di solito opposto a quelli che sono i normali criteri di condotta del paziente e non è caratteristico di quella persona nel suo usuale stato di coscienza. I disturbi dissociativi della coscienza  R. B White, R M. Gilliland, Astrolabio.

Quali sono i Disturbi Dissociativi elencati nel DSM-5

  • Disturbo Dissociativo dell’Identità (DID): incertezza o confusione rispetto alla propria personalità, difficoltà a rappresentarsi e inoltre a  definire la propria identità sessuale;
  • Amnesia Dissociativa: incapacità a ricordare uno specifico e significativo periodo di tempo trascorso, causando una serie di lacune nella narrazione degli elementi o episodi delle propria giornata o storia personale. In questa diagnosi è stata inclusa la Fuga Dissociativa: è rappresentata da un allontanamento improvviso e inaspettato da casa o dall’abituale luogo di lavoro, con incapacità di ricordare in toto o in parte il proprio passato. Ciò è accompagnato da confusione circa l’identità personale o anche dall’assunzione di una nuova identità;
  • Disturbo di Depersonalizzazione (è una sensazione di distacco da se stessi o un guardare a se stessi come farebbe un’altra persona. La persona può comunque non percepire o percepire solo alcune parti del proprio corpo o alcune emozioni, sentendosi come fosse “anestetizzata”) e Derealizzazione (è una sensazione di distanza rispetto all’ambiente o di vero e proprio distacco e di mancato riconoscimento rispetto a persone, luoghi o situazioni a noi note o familiari);
  • Disturbo Dissociativo Senza Specificazione: è stata inserita per i disturbi in cui la manifestazione predominante è un sintomo dissociativo (per es. un’ alterazione delle funzioni della coscienza, memoria, identità o percezione dell’ambiente), il quale non soddisfa i criteri per nessuno dei Disturbi Dissociativi specifici. Gli esempi comprendono: i quadri clinici simili al Disturbo Dissociativo dell’Identità che non soddisfano pienamente i criteri per questo disturbo, perdita di coscienza, stupor, o coma non attribuibile a una condizione medica generale ecc.;
  • Disturbo Dissociativo con altra Specificazione: es. disturbo dissociativo dovuto a una persuasione coercitiva, reazione dissociative acute reattive a eventi stressanti o stati di trance dissociativa

Un caso di dissociazione descritto da Ramachandran e Blakeslee (1998) e riportato nel libro I disturbi dissociativi della coscienza

Heavens just a word to me

Una donna all’apparenza normale soffre di un unico bizzarro disturbo: ogni tanto la mano sinistra afferra la gola cercando di strangolarla mentre con la destra si difende cercando di tenerla a bada. Per una lesione al corpo calloso, antiche tendenze suicide dell’emisfero destro, che controlla la mano sinistra, non più tenute a freno dall’emisfero sinistro, erano libere d’attuare l’insano proposito. Con l’altro invece la donna cerca di salvarsi”. Sembra una descrizione chiara di come la coscienza non debba necessariamente essere considerata come un’entità unitaria: gli autori intendono sottolineare come siamo del tutto inconsapevoli della stragrande maggioranza degli eventi in atto ne cervello ( I disturbi dissociativi della coscienza, G. Miti, pag 12)

Dopo aver letto il suo libro ho deciso di intervistare il dottor Giuseppe Miti psichiatra psicoterapeuta di orientamento cognitivo- evoluzionista. Tra le sue pubblicazioni: “I disturbi dissociativi della coscienza” per Carocci editore (2013), La coppia in lite (con L. Tombolini, Franco Angeli, Milano 1998), “Personalità multiple” (Carocci, 1992). Recentemente ha pubblicato il romanzo “Dopo il massacro(Porto Seguro, 2021), in collaborazione con Stefano Pisani e Marco Sparvoli, un thriller sulla storia criminale di Roma degli ultimi quarant’anni, basato su eventi realmente accaduti.

Dottor Giuseppe Miti psichiatra psicoterapeuta

1)Dottore come si riconosce una persona dissociata?

“Il termine dissociazione si presta a numerosi equivoci perché è spesso utilizzato nel linguaggio comune per descrivere esperienze che possono essere considerate normali, come ad esempio momenti di forte distrazione quando si è sovrappensiero, oppure quando si lascia il corpo guidare la macchina su un percorso conosciuto senza prestarvi attenzione perché si è impegnati in una conversazione con il passeggero o si ascolta una canzone alla radio (e magari rendendosi conto solo dopo che quel giorno dovevamo fare un altro percorso).

Una delle teorie esplicative sostiene che esista una sorta di continuum tra esperienze normali della vita quotidiana che si differenziano dalle esperienze patologiche non tanto qualitativamente, ma piuttosto quantitativamente. Noi siamo convinti che la personalità umana sia costantemente integrata nelle funzioni principali che hanno a che fare con la memoria di noi stessi, con la nostra identità, la coscienza di chi siamo, la percezione e il controllo del nostro corpo. In realtà, per riprendere un concetto formulato più di un secolo fa da Janet e recuperato negli ultimi anni, la funzione principale della mente umana è quella di effettuare una sintesi personale di strutture di significato parallele e differenti tra loro per raggiungere un compiuto senso di sé.

Quando questo non avviene a causa di eventi traumatici, emozioni violente, variabili genetiche o precise dinamiche relazionali precoci che alterano le capacità integrative della mente, si può produrre una désagrégation, cioè una separazione di diversi moduli di funzionamento della memoria, dell’identità personale, dello stato di coscienza e delle percezioni, come se avessero una vita propria senza riuscire a sintetizzarsi in un unicuum”.

2) Nel suo libro sostiene che la tendenza della mente non sia solo quella di evitare la riflessione sul dolore estremo ma sia alla radice dei disturbi conseguenti a esperienze traumatiche. Questa teoria “difensiva” è stata messa in dubbio da quella riguardante la “disgregazione della coscienza”.
Ci può spiegare meglio? E cosa si intende per disgregazione della coscienza?

“Tutti pensiamo che ci siano dolori talmente forti da ritenerli insopportabili e che la nostra mente in questi casi cerchi di difendersi isolandoli dall’esperienza soggettiva per poter sopravvivere psicologicamente. Gli studi e i modelli recenti, recuperando la teoria di Janet di cui ho parlato prima ed arricchendola con ricerche sofisticate, aggiungono una ipotesi esplicativa basata sulla compromissione diretta e non difensiva della relazionalità umana a partire dalle prime esperienze di attaccamento del bambino con le proprie figure di riferimento principali”.

3) Cosa sono le memorie recuperate e la falsa memoria di cui parla nel libro?

“L’amnesia a cui possiamo andare incontro in seguito ad eventi traumatici può avere due caratteristiche. Essere legata ad un fenomeno di detachment, cioè di estraneazione, disconnessione dal sé o dal mondo, come ad esempio nei fenomeni di depersonalizzazione o anche di intenso assorbimento in un’attività, con produzione di uno stato alterato di coscienza che non consente una naturale codifica delle informazioni relative all’evento accaduto.

Oppure ad una compartimentazione in moduli separati della memoria traumatica che non entrano nel naturale flusso di coscienza principale. L’esempio più famoso ci viene dalla descrizione che fa Proust nella Ricerca del tempo perduto quando intinge le madeleines nel tè e viene travolto da un’ondata di benessere che solo dopo essersi interrogato capisce che è legata ad un ricordo della sua infanzia. Alla luce di quanto detto poco fa, è evidente che i ricordi non immagazzinati non possono essere ricordati, mentre quelli segregati possono essere oggetto di notevoli distorsioni e imprecisioni dovute ad esempio ad evitamento per vergogna, paura, disgusto, condensazione di fatti diversi, alterazioni cronologiche, suggestione involontaria o volontaria per pregiudizi ideologici.

Quando questo avviene in una psicoterapia o addirittura in situazioni di rilevanza penale, si possono creare delle realtà verosimili, ma anche dei ricordi costruiti in una falsa memoria per cui gli esperti che si trovano a dover valutare il recupero degli eventi devono muoversi con estrema cautela ed attenzione”.

4) Lei si sofferma nel suo libro sulla possessione e cita alcuni casi di persone che tanto tempo fa si consideravano “possedute”. Conosciamo la storia e sappiamo che quello che succedeva ai tempi dell’Inquisizione non aveva a che fare con la stregoneria anche se si celava dietro questa. Che relazione c’è tra la possessione e il disturbo dissociativo di personalità?

“Nell’ultima edizione del Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali, DSM 5, all’interno della definizione dei vari Disturbi Dissociativi è stata inserita la categoria dei Disturbi Dissociativi non altrimenti specificati che tra i criteri diagnostici include il Disturbo dissociativo da trance, cioè un’alterazione dello stato di coscienza, dell’identità o della memoria con sostituzione della propria identità da parte di una nuova identità che è di solito uno spirito, una divinità o un’altra persona. In molte culture attualmente tale fenomeno è considerato parte di una pratica collettiva culturale o religiosa e pertanto non viene considerato patologico. La differenza con il Disturbo Dissociativo di Identità consisterebbe esclusivamente nel fatto che la possessione sarebbe indotta da entità esterne e non stati di personalità interni, ma di fatto vi è una sostanziale sovrapposizione tra i due disturbi”.

5) Può spiegarci meglio cos’è il disturbo dissociativo d’identità noto precedentemente come personalità multipla?

“Dopo un oblio durato quasi un secolo, a partire dagli anni ’80 sono stati studiati i fenomeni definiti inizialmente come Disturbo da Personalità Multipla e in seguito Disturbo Dissociativo dell’Identità che sono caratterizzati da una frammentazione dell’identità in due o più distinti stati di personalità, con marcata discontinuità nel senso di sé e della padronanza del sé e conseguenti alterazioni negli affetti, nei comportamenti, nella coscienza, nella memoria, nella percezione e nel funzionamento senso-motorio. Queste personalità possono avere caratteristiche differenti l’una dall’altra e a volte non avere consapevolezza tra di loro. Nel cinema una descrizione di questo disturbo ci viene dal film del 1957 Le tre facce di Eva, basato su una storia vera, che valse l’Oscar a Joanne Woodward”.

6)Una persona con personalità multipla non ricorda, avendo una o più personalità, ciò che riguarda le altre identità oppure è solo una credenza?

“L’amnesia tra le personalità di un DDI è un criterio diagnostico fondamentale, anche se non sempre presente, verificandosi casi nei quali è invece presente una co-coscienza”.

7) Cos’è il disturbo di depersonalizzazione e derealizzazione?

“La depersonalizzazione e la derealizzazione, che sono state unificate nelle ultime versioni del DSM, consistono nella presenza di esperienze di irrealtà, distacco da sé, di essere osservatore esterno dei propri pensieri, sentimenti, sensazioni, corpo o comportamenti, come quando si hanno alterazioni percettive, del senso del tempo, di un sé irreale o assente, di un ottundimento emotivo o fisico.

E anche nelle esperienze di irrealtà o distacco nei confronti dell’ambiente circostante, come quando gli altri o l’ambiente vengono percepiti come in un sogno, nebulosi, senza vita o alterati”.

8) La dissociazione avviene come meccanismo di difesa anche nei soggetti sani?

“Secondo il modello descritto all’inizio di un continuum delle esperienze dissociative, anche nei soggetti sani si possono verificare fenomeni assimilabili, in forma quantitativamente ridotta e non patologici”.

9) Qual è la cura per la dissociazione nei soggetti sani? E i casi gravi sono “curabili”?

“Alla luce di quanto descritto all’inizio, la terapia dei Disturbi Dissociativi ha come obiettivo l’integrazione di tutte le parti dell’io che non si sentono appartenenti a sé stesso, che non si sa come gestire e di cui non si capisce il significato.
Questo dovrebbe avvenire secondo un processo per fasi successive, step by step, che considera la stabilizzazione del paziente, l’elaborazione ed integrazione delle memorie traumatiche e la riabilitazione nella relazione con gli altri.
Non sempre questo è possibile e semplice, e richiede comunque una grande capacità diagnostica, una preparazione adeguata che contempli anche metodiche moderne ed aggiornate non consuete (Psicoterapia senso-motoria, EMDR, etc.) ed una competenza evoluta da parte del terapeuta”.











Autore: Ilaria Cicconi