Condannata ATITECH per danni da amianto

Ex dipendente dell’azienda di aerotrasporti deceduto per mesotelioma. I figli e la moglie ci raccontano la drammatica vicenda

Dopo 18 anni, la Corte d’appello di Napoli, in seguito alla pronuncia della Cassazione, ha condannato la società ATITECH Spa a risarcire la famiglia di Aldo Converso. L’uomo, deceduto nel 2006 a soli 59 anni a causa di un mesotelioma pleurico, era un dipendente dell’azienda. È stato accertato già da tempo che gli aeromobili avevano componenti in amianto e anche l’ex palazzina nella quale lavorava il Signor Converso era piena di amianto.  È ancora in corso la causa per il risarcimento del danno iure proprio e cioè quello dei singoli componenti della famiglia. Si tratta del primo giudizio incardinato già dal 2006 per risarcimento danni per l’amianto negli aeromobili. Fu promosso dall’Avv. Ezio Bonanni, quando questo rischio degli operatori aeronautici non era ancora così conosciuto.

Purtroppo, Aldo non era il solo ad essersi ammalato a causa dell’esposizione alle fibre di amianto presenti negli aeromobili e nella palazzina dell’ATITECH, società satellite dell’Alitalia, ma solo ora, dopo anni di causa, si è giunti alla prima condanna. Altre persone che lavoravano con l’uomo si sono ammalate e decedute a causa dell’esposizione. Come sappiamo bastano anche poche fibre di amianto per ammalarsi e il periodo di latenza della malattia può essere molto lungo. Il mesotelioma pleurico è un tumore legato solo all’esposizione e inalazione a polveri e fibre di amianto. Aldo aveva iniziato a lavorare nello stabilimento ATI di Capodichino, poi divenuta ATITECH, e aveva svolto varie mansioni, tra cui alcune che non gli competevano, come hanno raccontato anche i familiari durante l’intervista.
L’ONA ha censito tantissimi casi di malattie asbesto correlate in Aeronautica militare.

Il racconto dei familiari

Aldo Converso con i suoi figli
Aldo Converso con i suoi figli

Aldo amava molto il suo lavoro e gli aerei senza sapere che avrebbe trovato la morte proprio a causa di un’esposizione lavorativa. La sicurezza sul lavoro dovrebbe essere garantita a tutti invece, quando il Signor Converso si è ammalato, già si conosceva la pericolosità dell’amianto ma nessuno ha fatto nulla per evitare che queste persone si ammalassero.

Era un uomo dedito alla famiglia, talmente amato che la sua morte ha provocato una vera e propria “morte psicologica” anche per i suoi familiari. Sembra che da quell’anno, in cui Aldo moriva, la vita sia diventata impossibile e tutto si sia fermato in un vortice di paure, disgrazie e solitudine.

I familiari, durante l’intervista mi raccontano la sua storia e la loro vita senza Aldo.

“Mio padre- mi racconta il figlio Paolo- dopo aver ricevuto varie offerte di lavoro, all’età di 19 anni scelse di lavorare per quello che allora era l’ATI (autotrasporti italiani) ed era assistente tecnico di bordo. Era affascinato dall’aeronautica e dagli aerei. Il suo ruolo per i primi due anni era quello di svolgere una funzione all’interno dell’aereo volando, la sua figura esisteva solo allora quando non c’erano figure come lo Steward. Oltre ad assistere i passeggeri quando l’aereo si fermava scendeva per controllare lo stato tecnico del mezzo. Questa figura con gli anni è sparita e papà viaggiava su alcuni veicoli come l’MD-80 (McDonnel Douglas) e i Fokker. Proprio in questo periodo, nel 1989, nacque ATITECH da una costola di ATI – Aero Trasporti Italiani, rilevata da Alitalia, per la manutenzione di aerei McDonnell Douglas MD-80 gli stessi che erano pieni di amianto.
 

“Successivamente papà- continua Marco- dopo aver viaggiato molto, chiese di rimanere a terra per stare più vicino alla famiglia e iniziò a svolgere altre funzioni nell’azienda. Lavorò all’interno della vecchia palazzina ATI, quella di fronte alle poste e all’aeroporto di Capodichino. Quella palazzina è stata demolita e ricostruita perché aveva le coperture in amianto. I dipendenti erano esposti alle fibre di amianto tutto il giorno. Ci hanno messo tantissimi anni pur sapendo che l’amianto era letale. Svolgeva un lavoro d’ufficio. Ha lavorato fino alla pensione per questa società.

Ricordo che spesso mi portava con lui negli hangar quando lo chiamavano per verificare se la merce era arrivata e se era tutto conforme, anche se questo non gli competeva. Controllava i freni e altre parti dell’aeromobile che allora erano in amianto. Abbiamo le dichiarazioni di testimoni che mio padre veniva chiamato spesso per verificare che i prodotti fossero idonei”.

I sintomi e la morte

Aldo Converso con sua moglie Olga Esposito

“Nell’anno in cui mia figlia si sposò- racconta la moglie Olga Esposito- mio marito iniziò a stare male, sudava sempre e aveva colpi di tosse. Mentre mangiava sembrava che si stesse affogando e usciva in balcone per non farci preoccupare. Marco era terrorizzato.

Quando lo accompagnai all’Ospedale Cardarelli lo ricoverarono immediatamente perché aveva tre litri di acqua nelle spalle e, successivamente, nel reparto di chirurgia toracica per aspirare questo liquido. Non capirono che la sua problematica era dovuta all’esposizione alle fibre di amianto.

Poi venne trasferito al Monaldi e il dottor De Matteis mi chiamò in separata sede dicendomi che mio marito aveva due mesi e mezzo di vita.  Mi sentii morire. Quando i medici diedero la conferma che mio marito era affetto da mesotelioma pleurico maligno, nonostante noi cercammo di nascondere questa cosa, lui capì subito di avere un brutto male e si sentiva già morto.

Fece diverse chemio al Pascale dal Prof. Giuseppe Comella ma, dopo varie terapie, ci dissero che non era operabile e di portarlo a casa. Questo perché le chemio gli facevano più male che bene. Non contenti lo portammo dal Prof. Gridelli all’Ospedale Moscati che decise di sottoporlo ad altre chemioterapie ma mio marito peggiorò e dovemmo portarlo a casa dove svenne.
Il 15 ottobre chiamammo l’autombulanza.

Lo portarono all’Ospedale Cardarelli in grave stato di incoscienza e dopo 15 giorni di agonia e sofferenze atroci, lo riportammo a casa, sempre con le bombole di ossigeno e dosi di morfina alle quali si stava assuefacendo. Ci siamo stati fino all’ultimo per lui. Facevamo le nottate. Il 1° novembre alle ore 07:00 del mattino morì tra le nostre braccia”.

“Il professor Menegozzo ha dichiarato che il mesotelioma era dovuto all’esposizione ad amianto sul lavoro- continua Paolo- e anche il professor Claudio Buccelli lo confermò. Disse che si era ammalato a causa dell’esposizione ad amianto nell’ azienda”.

La mancanza, la rabbia e le ripercussioni psicologiche

“Papà era una persona estremamente dotta- mi racconta Marco- formava i nuovi arrivati e tutti hanno, poi, ricoperto cariche manageriali. Era un uomo integerrimo e mi chiedevo come mai tutti facessero carriera e lui no. Forse il ruolo che ricopriva era molto tecnico e avevano bisogno di lui nell’operativo. Era un uomo preciso sul lavoro e si dedicava solo a questo e alla sua famiglia. Non aveva vizi”.

“Io ero l’ultima figlia- prosegue Rita- la più coccolata. Ero il suo punto debole. Parlava molto con noi era anche troppo buono. Non ci ha mai dato uno schiaffo. Ci ascoltava anche quando era stanchissimo. Era una persona che sapeva fare tutto, insegnava matematica, sapeva fare di tutto”.

“La cosa che mi fa rabbia- continua Marco- è il fatto che molto tempo si sa che l’amianto è nocivo e ne erano a conoscenza anche quando costruirono la palazzina dell’ATITECH. Non solo, si sapeva anche dell’amianto in quegli aerei. Nonostante tutto mio padre e altri svolgevano il loro lavoro esposti. Solo dopo tanti anni costruirono la nuova palazzina. Quella vecchia era piena di amianto. Tra l’altro l’Alitalia subentrò proprio nel momento degli MD80 quindi corresponsabile di mancata sicurezza sul lavoro”.

“Abbiamo vinto la causa in primo grado nel 2010- continua Paolo- e stiamo continuando questa battaglia legale. Ci sono stati gravi danni a livello fisico e psicologico per tutti noi”.
Dopo la morte del marito Olga iniziò a prendere psicofarmaci e prosegue tutt’ora la cura perché è affetta da depressione cronica. Marco ha somatizzato lo stesso problema che aveva il padre, non riusciva ad ingoiare. “Lo psicologo, dopo mesi di psicoterapia domiciliare, mi disse che non riuscivo ad ingoiare il cibo perché non buttavo giù la morte di mio padre. Io avevo fondato un’azienda con mio padre e quando morì mi chiusi per sei mesi in casa e persi tutto: lavoro, fidanzata, e ho dovuto successivamente chiudere l’azienda ormai in via di fallimento. Sono rimasto single, senza lavoro e senza famiglia”. Paolo, chiese il trasferimento dalla sede centrale della banca Monte dei paschi di Siena ma non riuscì ad ottenerlo. Perse il lavoro a causa dei numerosi giorni di malattia chiesti per stare vicino al padre e a sua madre ed aiutarla con tutte le questioni economiche.
Rita, la figlia, ha avuto ripercussioni psicologiche e si è chiusa in se stessa. Tutt’ora ha poche relazioni sociali.

I ricordi di “papà”

Aldo con la figlia Rita

Marco: “Mio padre era una persona che amava lavorare. Quando mi aiutò a mettere su l’azienda era già andato in pensione. Dato che non amava stare senza fare niente inscenò con mia mamma una piccola commedia: oltre ad aiutarmi a tirare avanti l’azienda io gli avrei dovuto riconoscere 500 euro al mese che mi avrebbe, poi, restituito. Non sapeva stare senza lavorare, ancora oggi ci rido”.

Paolo racconta di come il padre lo accompagnava spesso a Gianola quando frequentava la scuola privata alle 4 del mattino e poi andava a lavorare alle 6 e tutti, in particolare Rita, ricordano che ogni sera li aiutava a studiare, li ascoltava sugli orali ed era bravissimo in matematica

“Quando nacque mia figlia – prosegue Rita- lui cambiò tutte le tutine perché erano piccole, era così felice di diventare nonno che piangeva. Non si è goduto neanche un anno di pensione perché morì in questo modo orribile”.

“La morte non è la più grande perdita nella vita. La più grande perdita è ciò che muore dentro di noi mentre stiamo vivendo.” Norman Cousins



Autore: Ilaria Cicconi