Come mai, noi esseri umani vediamo il mondo “a colori”, mentre i nostri fedeli amici a quattro zampe si limitano a una tavolozza più limitata?
La scienza si è focalizzata su questo enigma visivo. Risultato? La chiave per comprendere il nostro straordinario spettro cromatico potrebbe risiedere in una singolare molecola
Un mondo a colori: coni rossi e coni verdi
La visione dei colori è una verità universale oppure un fattore personale, plasmato dalla nostra biologia?
Come mai, alcune persone percepiscono maggiormente il colore rosso, mentre altre vedono il verde in maniera più intensa? Infine, perché gli animali hanno un range cromatico ridotto?
Un team di ricercatori del Johns Hopkins University e dell’Università di Washington, ha cercato di rispondere a queste domande.
Scopriamo dove ci porta l’affascinante viaggio alla ricerca della complessità dei nostri occhi.
La storia inizia nella retina, tessuto sensibile alla luce, che agisce come una sorta di “detective visivo”.
Nel suo “arsenale”, ci sono i coni, cellule altamente specializzate che hanno la funzione di ricevere la luce per trasmetterla al cervello.
Ma, non tutte le retine sono uguali…
Per tali motivi, gli studiosi hanno iniziato a coltivare retine umane in laboratorio.
Da qui è emersa una differenza sorprendente tra la visione a colori delle persone.
Responsabili di tutto sarebbero appunto i fotorecettori (coni).
Ma il colpo di scena arriva quando si scopre che una sola molecola potrebbe essere la causa di questa varietà di sfumature.
Una sorta di “ingrediente magico” che rende possibile vedere milioni di colori in più rispetto ai nostri affettuosi animali domestici.
Colori e “convergenza evolutiva”
A vedere a colori tuttavia non è solo l’uomo. Diversi animali ad esempio, sono in grado percepire il verde, il blu e il rosso.
Quanto al colore scarlatto, non è affatto prerogativa del toro. Il “Re della corrida”, non è capace di distinguerlo, perché i suoi occhi mancano dei coni.
Di contro, molti uccelli e alcuni insetti vedono rosso, capacità che per loro è diventata una preziosa risorsa nel corso dell’evoluzione, specialmente quando si tratta di individuare deliziosi frutti maturi o fiori da impollinare.
Altro animale dotato di una vista più variegata è l’opossum del miele (Tarsipes rostratus), un marsupiale australiano, che, come suggerisce il nome, si nutre appunto di miele.
Il grazioso mammifero ha sviluppato una visione cromatica che si allinea sorprendentemente a quella di molti uccelli.
La capacità di vedere il rosso consente all’animale di succhiare il nettare dalla banksia un fiore appartenente alla famiglia delle rose.
A cosa si deve questa caratteristica?
Alla “convergenza evolutiva” (o evoluzione convergente) un fenomeno per cui due organismi, anche lontani geneticamente, sviluppano strutture simili in risposta a stimoli ambientali analoghi.
Opsina, ricombinazione genetica e daltonismo
Ma veniamo al “giallo”, questa volta inteso come “mistero” e non come colore.
L’opsina, proteina presente nei bastoncelli dell’occhio (in coniugazione con il retinale, forma la rodopsina, sostanza responsabile del meccanismo della visione), gioca un ruolo fondamentale.
Questo fotopigmento, presente nei coni L e M è codificato sul cromosoma X; codifiche difettose di questo portano alle due forme più comuni di daltonismo.
Utile precisare che esistono tre tipi di coni:
I coni S, detti “blu” (S da short, corto) presentano il massimo assorbimento alle lunghezze d’onda comprese fra 400 e 500 nm;
Quelli M, detti coni verdi (M da medium), principalmente sensibili alle lunghezze d’onda medie;
I coni L, o “rossi” principalmente sensibili alla luce di lunghezza d’onda lunga.
Ebbene, una ricombinazione genetica recessiva a carico del cromosoma X, può portare a variazioni di daltonismo congenito rosso- verde o deuteranopia (insensibilità al colore verde).
Per capirci, è come se gli ingredienti del nostro cocktail cromatico si mescolassero in modi imprevedibili, creando sfumature visive uniche per ciascun individuo.
Ma torniamo alla questione principale: a chi si deve la nostra percezione dei colori?
Acido retinoico
Secondo gli scienziati ciò dipende dall’acido retinoico, un derivato dalla vitamina A.
Questa molecola può infatti creare o interrompere l’armonia tra i coni rossi e verdi, almeno quando si tratta di retine cresciute in laboratorio. È lei a determinare a quale luce, rossa o verde, sarà sensibile il cono dell’occhio.
Solo gli umani con una normale visione possiedono infatti i fotorecettori rossi.
Cosa che spiega come mai ad esempio i cani, avendo un’alta concentrazione di acido retinoico, vedono bene solo le sfumature del giallo e del blu.
«Questi organoidi retinici ci hanno permesso per la prima volta di studiare un tratto molto specifico dell’uomo». Ad affermarlo, il biologo dello sviluppo Robert Johnston della Johns Hopkins University. Ma veniamo all’esperimento.
Acido retinoico: focus sull’esperimento
Nel corso dell’esperimento, le retine coltivate in laboratorio sono state esposte a differenti dosi di acido retinoico durante lo sviluppo iniziale. I risultati sono stati sorprendenti: un maggiore dosaggio durante i primi sessanta giorni, ha generato un aumento significativo dei coni verdi nell’organoide. Coni immaturi esposti a basse dosi di acido si sono invece sviluppati in coni rossi.
Ma il tempo è essenziale, sostengono gli esperti.
Se l’acido retinoico è stato introdotto dopo i primi centotrenta giorni, è come se non fosse mai stato aggiunto.
Insomma, l’acido retinoico determina il destino cromatico dei coni in una fase iniziale, senza la possibilità di “commutare” i coni rossi maturi in coni verdi.
Importanza dello studio
La biologa dello sviluppo Sarah Hadyniak della Johns Hopkins University, coautrice dello studio, ritiene che questi risultati possano rivelare nuove sfumature sulla modulazione genetica esercitata dall’acido retinoico.
Per comprendere il possibile impatto su scala più ampia, i ricercatori hanno esplorato le retine di 738 adulti maschi, senza segni di deficit nella visione dei colori. La sorprendente variabilità nel rapporto cono rosso/verde in questo gruppo ha catturato l’attenzione dei “detective scientifici”.
«Vedere come cambiano le proporzioni dei coni verdi e rossi negli esseri umani è stata una delle scoperte più sorprendenti della nuova ricerca», afferma Hadyniak.
Dimostrando come i geni istruiscono la retina a produrre le cellule sensibili al colore, lo studio aumenta la comprensione del daltonismo, della perdita di vista in età avanzata e di altri disturbi legati alle cellule dei fotorecettori.
Tutti fattori che, prima della pionieristica ricerca, si credeva fossero imputabili agli ormoni tiroidei.
Fonte
PLOS Biology.