Recensione del film “JoJo Rabbit”
Uscito nelle sale cinematografiche il 16 gennaio 2020, con la regia di Taika Waititi, la pellicola è tratta dal romanzo“Caging Skies”della scrittrice belga-neozelandese Christine Leunens, pubblicato nel 2004.
Attori: Roman Griffin Davis (JoJo Betzler), Thomasin McKenzie (Elsa Korr), Taika Waititi (Adolf Hitler), Scarlett Johansson (Rosie Betzler), Sam Rockwell (capitano Klenzerdorf), Archie Yates (Yorki), Rebel Wilson (Fraülein Rahm), Alfie Allen (Finkel), Stephen Merchant (capitano Deertz). Coprodotto da Germania e USA, è distribuito Walt Disney Italia / 20th Century Fox, e dura 108 min.
La trama del film
Jojo Betzler è un bambino tedesco di dieci anni, che milita nella Gioventù hitleriana. È il 1944 e la Seconda guerra mondiale infuria con violenza, mentre la propaganda del regime irretisce anche le menti dei più piccoli con menzogne antisemite, quanto mai efficaci nonostante la loro aperta ridicolaggine o, forse, proprio grazie ad essa.
Il padre di Jojo è al fronte in Italia, ma si sospetta che abbia disertato per organizzare la Resistenza; sua madre, Rosie si prende cura di Jojo -non senza stravaganze-, e insieme soffrono per la morte di Inge, sorella di Jojo il quale pare avvertirne la fantasmatica presenza.
Soprannominato “Rabbit” per la sua presunta codardia durante un’esercitazione nel campo per giovani nazisti, gestito dal capitano Klenzendorf, si ferisce con l’esplosione di una granata che lui stesso ha maldestramente lanciato; trascorre le sue giornate in compagnia del simpaticissimo, panciutello e occhialuto Yorki, il suo unico vero amico in carne ed ossa, ma non il suo migliore amico. Infatti, una seconda figura, quasi paterna, guida le scelte di Jojo: ha per amico immaginario nientedimeno che lo stesso Führer Adolf Hitler (interpretato da Taika Waititi che dirige se stesso); si presenta come un Hitler caricaturale e pagliaccesco, che si ciba di unicorni, offre sigarette e sviene alla vista del sangue. Jojo, grazie alla sua fedele compagnia, si sente un nazista privilegiato perché è il Führer in persona che gli insegna a odiare gli ebrei con i modi di un coach esaltato.
Jojo, però, non ha mai incontrato un ebreo né saprebbe distinguerlo dagli “ariani”, fino a quando scopre che sua madre nasconde in soffitta una ragazza ebrea, amica della defunta Inge e testimone diretta della persecuzione.
Da qui in poi la pellicola sviluppa i dubbi sorti in Jojo che farà i conti con il nazionalsocialismo e col destino che gli assesterà il colpo di una seconda, drammatica perdita. Intanto la Gestapo farà irruzione nella casa, provocando un momento di Spannung narrativo, risolto inaspettatamente dal capitano Klenzerdorf, vero aiutante del protagonista.
La conclusione mostra un bambino non più tale, emancipato dai suoi timori e dalla necessità di rapporti soltanto fantastici.
Recensione del film
Il film è godibile, intelligente, ironico e garbatamente graffiante. La mostruosità del grande dittatore, inquadrato di schiena o per il rapido dettaglio delle mani nei pezzi di documentari della sigla di testa, è risibilmente ridotta a una patetica macchietta: come a suggerire che, secondo l’assunto della Arendt, il male è proprio degli uomini piccoli, con una mente piccola e ordinaria; come a dire che il male occupa la nostra mente e il nostro cuore soltanto se gli lasciamo lo spazio della confusione e dell’incertezza. Ma, prima che agisca irreparabilmente e faccia di noi i complici del crimine, possiamo prenderlo a calci con una sonora risata.
Per non dimenticare
Ho rivisto questo film a distanza di tre anni, accompagnando i miei alunni nella sua visione nell’occorrenza della Giornata della Memoria. L’ho trovato perfettamente invecchiato e portavoce di un punto di vista che, e non è poco, sa conciliare il buffo con la necessità di riflettere su un fenomeno storico tra i più tragici della storia dell’umanità.