Farmaci e terapie sperimentali: le nuove frontiere della salute mentale

Terapie sperimentali per pazienti resistenti ai farmaci

I nuovi studi per la cura delle patologie psichiatriche si basano su aspetti che in passato sembravano essere nettamente distinti: quelli legati alla biologia del cervello e quelli legati alle interazioni con l’ambiente.
Oggi l’epigenetica e, quindi, le modificazioni di carattere genetico sono strettamente correlate con l’ambiente e hanno completamente ribaltato questa visione in qualche modo aristotelica della salute mentale. Sappiamo che esiste una stretta interazione fra modificazioni di carattere genetico e quanto accade nell’ambiente e questo ha un importante impatto sul sistema nervoso centrale.

Ne parleremo con il professor Andrea De Bartolomeis, direttore del reparto psichiatria dell’Ospedale Federico II di Napoli
Andrea De Bartolomeis psichiatra

Professore quali sono i nuovi strumenti di ricerca nell’ambito della salute mentale?

 «Uno degli aspetti più interessanti nella ricerca in ambito di disturbi del comportamento è rappresentato dalle potenziali modificazioni plastiche del sistema nervoso centrale in relazione ad eventi della vita interiore o della vita di relazione e quindi del contesto in cui l’individuo vive che sembrano essere di carattere addirittura strutturale, plastico. È evidente che le interazioni con l’ambiente possono modificare le strutture fondamentali quantiche del sistema nervoso centrale che vanno sotto il nome di sinapsi.

Questi bottoni costituiti da protrusioni delle terminazioni nervose servono ai contatti tra le varie cellule. Queste protrusioni (chiamate spine dendritiche) possono modificarsi e penso che una delle frontiere delle neuroscienze applicate ai disturbi del comportamento sia tentare di capire come questo sia in grado di modificare attraverso l’interazione con l’ambiente queste strutture quantiche fondamentali (le spine dendritiche) che sono responsabili della comunicazione fra i neuroni fra cellule sistematiche del sistema nervoso centrale».

Incominciamo ad avere nuove modalità per studiare il sistema nervoso centrale

«Sì e questo può essere di grande impatto sulla potenzialità di diagnosticare insieme con le inferenze di carattere clinico che sono assolutamente essenziali per farne patologie psichiatriche.
Voglio ricordare che oggi le patologie psichiatriche primarie vengono diagnosticate su base clinica.
Ci auspichiamo che, attraverso questi studi fondati nelle neuroscienze e applicati al comportamento dell’uomo normale e patologico possano di fatto incominciare a lumeggiare la potenzialità di una diagnosi basata non solo soltanto sulla clinica, ma anche sulla clinica(per esempio sull’immagine cerebrale). Esistono anche importanti contributi dalla genetica ma bisogna essere chiari e attenti nel ricordare che, se da un canto per alcune patologie psichiatriche severe e primarie come la schizofrenia esistono numerose evidenze di una familiarità del disturbo, d’altro canto questo non significa che noi conosciamo le basi genetiche precise di questa malattia e la modalità di trasmissione. Non si tratta di malattie che vengono trasmesse secondo un modello mendeliano ma sono complesse, poligeniche e multifattoriali.
Questo vuol dire che devono sussistere due condizioni perché la malattia possa manifestarsi: la prima è la presenza di una costellazione complessa di geni, molti dei quali noi non conosciamo, esattamente, nella loro individualità funzionale (ecco perché dobbiamo essere cauti quando parliamo di genetica in ambito psichiatrico) ma quei geni che insieme costituiscono una predisposizione alla malattia. Tuttavia, questo non è sufficiente. Ecco perché si chiama multifattoriale: laddove ci fosse questa costellazione di più geni è necessaria una seconda concausa rappresentata da un evento che avviene immediatamente prima della nascita, subito dopo o durante l’adolescenza. E questo può essere di carattere biologico come una malattia infettiva che si è sovrapposta alle basi genetiche, possono anche essere eventi che accadono nella vita del soggetto. Noi sappiamo, per esempio, che proprio nella schizofrenia esiste una maggiore probabilità di malattia in coloro che hanno subito condizione di deprivazione e di abuso durante l’infanzia».

I nuovi interventi terapeutici

Quali sono le terapie sperimentali in ambito psichiatrico?

«Nell’ambito delle frontiere da esplorare gli interventi terapeutici in ambito psichiatrico – continua Bartolomeis– sono assolutamente necessari con modalità che innovative e, speriamo di grandissima efficacia nei prossimi anni. Oggi abbiamo farmaci molto efficaci: si pensi a quelli che si utilizzano nella schizofrenia, nella depressione maggiore o nel disturbo bipolare. Riescono a colpire una parte delle patologie in questione nonostante la complessità delle stesse. Quindi un auspicio è quello che grazie alla ricerca in ambito delle neuroscienze e della farmacologia molecolare si possano scoprire dei target molecolari nuovi. Non quelli che già utilizziamo ma alcuni di carattere pragmaticamente utile (cioè attraverso la sintesi di nuovi farmaci che agiscono su questi target). Quando si parla di target terapeutici bisogna tener presente che la farmacoterapia non deve considerarsi l’unica terapia. Oggi esistono procedure di carattere non farmacologico come, per esempio, interventi di riabilitazione cognitiva che consentono, attraverso metodologie computer mediate, di agire su quegli aspetti delle malattie psicotiche che, allo stato attuale, non sono ben targhettate dai farmaci che utilizziamo. Abbiamo a disposizione altre metodiche che sono quelle di neuro modulazione discreta e selettiva. Sebbene siano agli albori della metodologia, tuttavia, incominciano ad avere un utilizzo in ambito sperimentale sempre più specifico per cui ci auspichiamo che possano essere impiegate in ambito clinico diretto al più presto.

Negli Stati Uniti uno di questi sistemi di modulazione è la “stimolazione magnetica transcranica”

«La stimolazione magnetica transcranica si utilizza da anni in America per curare quelle forme resistenti ai trattamenti.  Queste sono un capitolo importante, epidemiologica mente rilevante e riguardano circa il 30% dei pazienti che sono affetti e non rispondono più ai trattamenti farmacologici. Si utilizzano farmaci innovativi come la Ketamina e i suoi derivati che agiscono sulla depressione.
Esistono terapie per le forme di schizofrenia resistenti come quella di non utilizzare un solo farmaco ma farmaci diversi che sono in grado di colpire aspetti differenti di una malattia così complessa. La loro efficacia può essere amplificata da interventi di tipo non farmacologico come le tecniche di neuro modulazione come la stimolazione magnetica transcranica».

La stimolazione magnetica transcranica sperimentata nell’Istituto di Psichiatria Federico II

«Nel nostro Istituto di Psichiatria dell’Università Federico II di Napoli utilizziamo, in termini sperimentali, la stimolazione elettrica transcranica che si ottiene con una fonte di energia (la stessa che utilizziamo per il telecomando dei nostri televisori). Si tratta di due batterie stilo e c’è un telecomando per la corrente, la quale è in grado di stimolare solo gli stati superficiali. Si è dimostrata efficace (ancora in sperimentazione) in alcune forme di depressione insieme ai farmaci. Bisogna superare i preconcetti perché gli psicofarmaci consentono a persone gravemente malate di stare meglio e possono cambiare la vita di coloro che, purtroppo, hanno perso le speranze. Quindi no all’abuso di farmaci e no ai pregiudizi».



Autore: Ilaria Cicconi