Qual è il prezzo della felicità?

È veramente rischioso essere felici? Cos’è la felicità e cosa la serenità. Il pensiero di alcuni autori e discussione sull’argomento

 “Tutti gli esseri umani vogliono essere felici; ma, per poter raggiungere una tale condizione, bisogna cominciare col capire che cosa si intende per felicità.”  Jean-Jacques Rousseau

Che cos’è la felicità se non qualcosa di individuale? Per alcuni si può raggiungere e costruire, per altri è fatta di attimi, istanti. Il concetto è molto personale. Si potrebbe parlare a lungo di felicità. Filosofi, psicologi, letterati si sono interrogati su cosa fosse e, ancora oggi, le varie teorie sono studiate, contestate e rielaborate.
Ma ogni essere umano è diverso e ha il suo modo di essere felice, quello che rispecchia esattamente ciò che “lui” pensa che sia la “sua” felicità. Ma ciò che conta è che sia per lui lo stato in cui si sente a proprio agio con sé stesso e nel mondo. Libero di non indossare una maschera.
A volte la felicità è dolorosa per la sofferenza che potrebbe comportare.

Ne vale veramente la pena?

Chi siamo noi per giudicare se il prezzo che paga quell’individuo per raggiungere la sua personale felicità è troppo alto oppure, al contrario, per pensare che si accontenti perché ha paura della felicità?

Io credo che ognuno debba essere libero di perseguire la sua felicità anche se questo, a volte, potrebbe comportare un dolore estremo, bilanciando in tal modo, tanta felicità. Purché possa portare luce in una notte spenta, in un vicolo cieco, in un dolore insormontabile, in una paura, in un istinto o in un desiderio. Ma spinga ogni essere umano a ciò che c’è di più prezioso: vivere e non esistere.
Sempre se ciò che desidera sia vivere a pieno.

“Per essere felici bisognerebbe vivere. Ma vivere è la cosa più rara al mondo. La maggior parte della gente esiste e nulla più”. Oscar Wilde

Felicità e serenità

Ma la felicità e la serenità sono due cose diverse anche se spesso le si confonde.
Se cerchiamo sul dizionario il termine felicità troveremo varie sfumature ma, secondo gli esperti, è fatta di attimi. Mentre la serenità è intesa come uno stato emotivo duraturo, che si può raggiungere con il tempo. Un’armonia spirituale.

La felicità ha un prezzo? Il pensiero di Freud

Prendiamo, ad esempio, la concezione freudiana della felicità che è ben lontana da quello che gli psicologi pensano oggi. Freud vedeva la felicità come l’equilibrio tra pulsione di vita e quella di morte. Inoltre, secondo lo psicoanalista è necessario che il piacere sia controllato per evitare di cadere, inevitabilmente, in quella pulsione di morte che porta all’infelicità.

Nel saggio freudiano “Il disagio della civiltà” in Opere 1924-1929 Freud cerca di spigare cosa sia la felicità per l’uomo che ne è sempre alla ricerca perché animato dal principio del piacere. Ma, sempre leggendo il testo, definisce questo obiettivo irrealizzabile: “È assolutamente irrealizzabile, tutti gli ordinamenti dell’universo si oppongono ad esso; potremmo dire che nel piano della Creazione non è incluso l’intento che l’uomo sia «felice». Quel che nell’accezione più stretta ha nome felicità, scaturisce dal soddisfacimento, perlopiù improvviso, di bisogni fortemente compressi e per sua natura è possibile solo in quanto fenomeno episodico. Qualsiasi perdurare di una situazione agognata dal principio di piacere produce soltanto un sentimento di moderato benessere; siamo così fatti da poter godere intensamente soltanto dei contrasti, mentre godiamo pochissimo di uno stato di cose in quanto tale”.

E così, continua l’autore “nessuna meraviglia se, sotto la pressione di queste possibilità di soffrire, gli uomini sogliono ridurre la loro pretesa di felicità, così come, sotto l’influsso del mondo esterno, anche lo stesso principio di piacere si trasformò nel più modesto principio di realtà; nessuna meraviglia se ci riteniamo felici per il solo fatto di scampare all’infelicità, di sopportare la sofferenza, se, nel senso più generale, il compito di evitare il dolore relega sullo sfondo quello di procurarsi il piacere”.

Secondo l’autore se le pulsioni non sono soddisfatte, per sottrarsi al dolore molti, inconsciamente, spostano o sublimano la sofferenza proprio per controllare gli impulsi che, secondo il principio di realtà, non sempre sono soddisfatti. Purtroppo, in alcuni soggetti fragili il conflitto tra il principio di piacere e il principio di realtà può generare nevrosi.

Il controllo di questi moti pulsionali, secondo Freud, è importante per lo sviluppo dell’individuo nella società. Questo, però è limitante, secondo lo psicanalista perché non tutti hanno determinate capacità intellettuali o artistiche e riescono a sublimare la frustrazione attraverso le arti.
Continua nel saggio “questa gioia ci sembra «più fine e più elevata» ma che, a paragone di quella derivante da moti pulsionali più rozzi, primari, che siano stati saziati, la sua intensità è minore: non scuote la nostra esistenza corporale. La debolezza di questo metodo sta però nel fatto che non è applicabile universalmente, essendo accessibile solo a pochi. Presuppone particolari disposizioni, o doti, che non tutti hanno”.

Ovviamente questo è il suo pensiero. Non è detto che l’amore per l’arte sia meno intenso delle pulsioni corporee o che derivi necessariamente da una sublimazione.

Amore o sublimazione?

Pensiamo, ad esempio, ad un artista che ha dedicato tutta la vita alla musica, alla scrittura, al canto e ha messo da parte la sua vita privata. Se ripercorriamo la storia di alcuni grandi musicisti, pittori, poeti o intellettuali possiamo comprendere quanto, a volte, anche l’amore per l’arte possa essere doloroso e, per altri invece confortante.

“Felicità raggiunta si cammina” di Eugenio Montale

EUGENIO MONTALE, Ossi di seppia 

“Felicità raggiunta, si cammina
per te sul fil di lama.
Agli occhi sei barlume che vacilla,
al piede, teso ghiaccio che s’incrina;
e dunque non ti tocchi chi più t’ama.

Se giungi sulle anime invase
di tristezza e le schiari, il tuo mattino
è dolce e turbatore come i nidi delle cimase.
Ma nulla paga il pianto del bambino
a cui fugge il pallone tra le case”

In questa poesia Montale rievoca la felicità come immagini labili perché considerata effimera, fugace “barlume che vacilla, “pericolosa e instabile “ghiaccio che s’incrina”.
“Non ti tocchi più chi più t’ama” il poeta metteva in guardia sulla felicità proprio perché è fragile e fatta di attimi. Negli ultimi versi Montale esprime, attraverso il pianto del bambino la perdita della felicità. Dalle note: “chi crede di averti raggiunta si guardi dal mutare tale fortunata situazione”.

E quindi la felicità ha un prezzo?

Non c’è una risposta a questa domanda se non individuale. Come abbiamo visto dipende da cosa intende la singola persona per felicità. Ci sono visioni diverse della felicità. C’è chi sostiene (come Einstein) che dipenda da come si vive la vita. Dalla serenità. Una conquista per cui lottare ogni giorno.
C’è anche però chi ritiene che la felicità e la serenità siano due cose diverse. La felicità è fatta di momenti e la serenità è lo stato in cui si può imparare a vivere. Quest’ultima è più sicura perché costruita su basi solide.

 “La felicità è una forma di coraggio” diceva lo scrittore e Holbrooke Jackson. Non può piovere per sempre. Ma prima o poi succederà. In ogni ambito la felicità comporta dei rischi. Estremi. Tanto sarà forte l’emozione tanto sarà logorante la sua perdita. Che sia la felicità per un successo, per l’arte, un momento di vita o di amore con le persone care.

È un rischio. È una sorta di oscillazione tra bene e male che può sconfortare le persone che non hanno un Io solido ben definito e ancorato.

Qual è il prezzo della felicità? Perché, quando siamo felici spesso paghiamo un prezzo troppo alto?

È così che si chiude il cerchio delle emozioni. Dalla felicità all’infelicità. È un limbo sottile in cui la normalità non può entrare. E allora la fatidica domanda: vale la pena di vivere qualche ora di felicità per sprofondare, poi, in una ” normalità ” che, paragonata a quel momento è l’inferno? Non è meglio vivere nella normalità? In un oscillarsi di emozioni tra il dolore non estremo e una felicità non assoluta? Gli estremi possono distruggere? C’è chi pagherebbe per un momento di vita intensa e felice. Ma conosce veramente il prezzo che comporta?”
Vi lascio con questa riflessione.

Autore: Ilaria Cicconi