Da anni mi occupo di difendere le vittime dell’amianto e le vittime del dovere. In questo percorso professionale e umano, ho avuto modo di confrontarmi con due strade giuridiche principali: quella civile e quella penale. In questa intervista con il giornalista Luigi Abbate e l’Avv. Veronica Scigliano abbiamo spiegato perché, nella maggior parte dei casi, sia più efficace e utile per i cittadini la tutela civilistica, senza però dimenticare l’importanza della prevenzione e della bonifica.
Perché privilegiare la tutela civile
Nella mia attività di avvocato ho visto come il procedimento civile offra, per chi è stato colpito dalle conseguenze dell’amianto, maggiori possibilità di ottenere un risarcimento in tempi più rapidi. L’onere probatorio richiesto in sede civile è meno rigido rispetto al processo penale, dove occorre dimostrare la colpevolezza “oltre ogni ragionevole dubbio”.
In molti casi, poi, le malattie asbesto-correlate si manifestano dopo decenni. Può capitare che le persone che avrebbero dovuto garantire la sicurezza nei luoghi di lavoro non siano più in vita al momento dell’avvio del processo. Questo rende ancora più difficile individuare un responsabile in sede penale.
I limiti della giustizia penale
Il processo penale ha un ruolo importante per accertare eventuali responsabilità individuali, ma presenta ostacoli oggettivi. Non solo richiede tempi molto lunghi, con il rischio di prescrizione, ma la sentenza diventa definitiva soltanto dopo tre gradi di giudizio.
Al contrario, una sentenza civile è già esecutiva dal primo grado, permettendo alle vittime e ai loro familiari di vedere riconosciuti i propri diritti in modo più concreto e tempestivo. Per questo motivo, come avvocato, consiglio quasi sempre di agire prioritariamente in sede civile e previdenziale.
La vera tutela: la prevenzione
Al di là delle aule giudiziarie, credo che la vera protezione delle persone debba essere garantita attraverso la prevenzione primaria, ossia la bonifica dei siti contaminati da amianto.
Un processo, civile o penale che sia, arriva sempre dopo il danno: quando la malattia è stata diagnosticata o, nei casi peggiori, quando è sopraggiunto un decesso. Al contrario, eliminare l’amianto dai luoghi di vita e di lavoro significa agire prima, proteggendo davvero i cittadini da nuovi rischi.
Una visione più ampia
Non mi limito a considerare gli aspetti processuali. Penso che lo Stato debba promuovere una cultura del rispetto e della salute che vada oltre la giurisdizione. In questa prospettiva, il risarcimento alle vittime non deve essere visto come un traguardo finale, ma come un passaggio necessario per responsabilizzare il sistema e garantire giustizia.
Sono convinto che anche il diritto penale dovrebbe essere ripensato in un’ottica deflattiva: nei casi di responsabilità colposa, ad esempio, si potrebbe prevedere l’estinzione del reato a fronte del risarcimento integrale del danno. Questo aiuterebbe a dare risposte più concrete alle famiglie colpite.
Le strade migliori
La mia esperienza mi porta a dire con chiarezza: la tutela civile è oggi la strada più efficace per ottenere giustizia, mentre la prevenzione e la bonifica restano l’unico strumento per garantire davvero la salute pubblica.
Come presidente dell’Osservatorio Nazionale Amianto (ONA) continuerò a impegnarmi su entrambi i fronti: assistendo legalmente le vittime e, allo stesso tempo, promuovendo iniziative per eliminare ogni fonte di esposizione all’amianto. Solo così potremo costruire un futuro libero da questa fibra mortale.