La Fondazione “Atena Donna” ed il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria hanno firmato un protocollo d’intesa operativo per la salute delle donne in carcere, siano esse detenute o parte del personale.
L’intesa è stata firmata lo scorso 28 luglio da Carla Vittoria Maira, presidente della Fondazione, e da Carlo Renoldi, capo del Dipartimento. Lo scopo del protocollo è avviare percorsi di informazione e di cura rivolti alle donne in carcere. Le modalità dovranno essere concordate con i responsabili dei presidi sanitari degli istituti.
Donne in carcere, progetti per la salute di genere
Il nuovo progetto prevede incontri tra le detenute, il personale femminile degli istituti penitenziari e personale medico altamente specializzato; essi saranno dedicati alla prevenzione sanitaria e ci sarà anche il coinvolgimento di giornalisti del settore. Ci saranno momenti di formazione e sostegno per il personale, sempre con particolare riferimento al mondo femminile. Sarà anche possibile promuovere lo sviluppo del progetto “Colora il tempo”, che punta all’abbellimento dei luoghi penitenziari.
Questo nuovo protocollo arriva a distanza di qualche mese dal progetto #Liberalamente, sempre derivante tra un protocollo d’intesa tra la Fondazione e il Dipartimento. Anche in questo caso si svolgono percorsi di informazione e di cura sul tema delle malattie al femminile. Le protagoniste sono le operatrici e le detenute, in particolare degli istituti di Lazio, Abruzzo, Molise e Campania.
Medicina di genere, il Piano nazionale per l’applicazione
L’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) definisce la “medicina di genere” come lo studio dell’influenza delle differenze biologiche (definite dal sesso) e socio-economiche e culturali (definite dal genere) sullo stato di salute e di malattia di ogni persona.
In Italia da circa tre anni esiste il Piano per l’applicazione e la diffusione della medicina di genere; il nostro è stato il primo Paese in Europa a formalizzare un concetto simile in medicina. Il principio è quello di garantire a ciascuno le cure migliori nel rispetto delle differenze, personalizzando al massimo le terapie.
In base a quanto riportato dal Piano nazionale in premessa, le diversità di genere si riconoscono negli stili di vita, nel ruolo sociale, nel vissuto individuale; nello stato di salute così come nell’incidenza di varie “patologie croniche o infettive, nella tossicità ambientale e farmacologica, nelle patologie lavoro correlate, salute mentale e disabilità, in tutte le fasce di età (infanzia, adolescenza, anziani) e in sottogruppi di popolazione svantaggiati; nel ricorso ai servizi sanitari per prevenzione (screening e vaccinazioni), diagnosi, ricovero, medicina d’urgenza, uso di farmaci e dispositivi medici; nel vissuto di salute, atteggiamento nei confronti della malattia, percezione del dolore“.
Il concetto è quello della centralità del/della paziente, l’acquisizione della consapevolezza per la partecipazione alla costruzione del percorso assistenziale, e la tutela della relazione di cura; questi elementi sono considerati dal Piano nazionale “un modello clinico assistenziale di riferimento, rispondente all’evoluzione culturale e sociale“.